capitolo 12

Il giardino segreto

Scrivere è un modo di ragionare; serve a scoprire, non a raccontare.

Bisogna abituarsi. La filosofia è una palla da bowling che abbatte come birilli tutte le convinzioni. Anche quelle morali. Quando questo succede, non rimane che unire i puntini delle nostre esperienze e procedere affidandosi alla fioca luce delle opinioni. Di convinzioni che assomiglino a certezze non ne avremo più. È questo per esempio il caso delle dinamiche affettive, argomento che vedeva Oberosler e Marco schierati su due fronti opposti.


Oberosler difendeva l’idea secondo cui le emozioni passano, mentre i sentimenti vanno coltivati: da qui la sua scelta monogamica. Marco invece amava sguazzare nel caos affettivo, e non gli era sfuggito l’indugiare dello sguardo di Alice sui suoi riccioli capricciosi. Così, dopo la discussione su Socrate, nel salutarla aveva deciso di provarci.


− Alice, che fai stasera?

Colta di sorpresa, Alice non aveva trovato di meglio che complicare un po’ le cose.

− Sappi però che ho un ragazzo.

− Anch’io ho una ragazza, Giulia, e conviviamo da anni. E il tuo ragazzo come si chiama?

− Non ne voglio parlare, porta pazienza.


− Se vuoi ci possiamo trovare dalle parti del quadrilatero romano. È pieno di locali carini, e poi abito lì. Così dopo cena, se vuoi, ci beviamo una cosa su da me.


− Vai troppo veloce per i miei gusti. E Giulia?

− Ma che problemi ti fai? Comunque stasera non c’è. Almeno non subito.

− È così che fai di solito con le tue vittime?

− Ma dai, smettila. Se ti va, puoi invitare anche il tuo ragazzo.

− Davvero?

− Massì, mi fa piacere conoscerti. Tutto qui.

− Posso essere chiara con te, Marco?

− Certo.

− Ti avverto, sono un rottame. Sto facendo delle cure, e sono sempre stanca.

− E allora? Mica ti ho chiesto di darmi una mano per il trasloco.

− Era per dirti che non farò tardi.

− Ricevuto. Allora ci vediamo in piazza Emanuele Filiberto.

− A che ora?

− Per le nove, prima non posso. Ora devo andare.

− Okay, a stasera.


Il fascino è come l’aureola dei santi, qualcosa di luminoso che sprigiona dalle persone. Esistono molti tipi di fascino. Marco aveva quello di chi sa come far succedere le cose in amore.


“Sono colui che ti salverà da te stessa e ci ameremo lassù, nei cieli della filosofia dove volteggiano abbracciate verità e felicità”: questo il messaggio che trasmettevano i suoi ragionamenti. Vecchia tecnica, quella del salvatore filosofico.


Mentre dunque Oberosler, contrario a ogni forma di “amore liquido”, si riconosceva in Bauman, Marco aveva eletto a suoi profeti Jean-Paul Sartre, il padre dell’esistenzialismo, e la sua compagna, la scrittrice Simone de Beauvoir.


Lo intrigava il fatto che i due avessero stretto tra loro un contratto di “infedeltà reciproca”, così da evitare ogni sorta di menzogne, sotterfugi, ipocrisie. Insomma, il suo istinto di seduttore poggiava su solide basi filosofiche.


Si era poi avvicinato di recente, sempre studiando i filosofi francesi del Novecento, a Michel Foucault, e aveva scoperto che era stato professore di Jacques Derrida, altro celebre filosofo, sebbene tra i due ci fossero solo quattro anni di differenza.


Un giorno Derrida, nella Biblioteca Nazionale dove Foucault dava appuntamento ai suoi studenti, gli chiede:

− Vorrei diventare un filosofo, ma non so come fare.

− Scrivi, scrivi, – fu la lapidaria risposta di Foucault – e vedrai che ti verranno delle idee.


Mai un consiglio fu seguito più alla lettera. Con una produzione torrenziale, Derrida diventerà uno degli autori più prolifici della storia della filosofia. Di questo Marco aveva parlato con Oberosler, aggiungendo però che a lui sarebbe piaciuto scrivere, più che un saggio, un romanzo ambientato nel futuro. Fra mille anni la filosofia ci sarà ancora o sarà considerata un pezzo d’antiquariato? Questa era la domanda a cui il suo romanzo avrebbe dato una risposta che al momento non aveva.


Se dovessi scrivere un libro per comunicare ciò che ho pensato – sosteneva Foucault –, non avrei mai il coraggio di cominciarlo.

Lo scrivo proprio perché non so ancora cosa pensare di un argomento che attira il mio interesse.


Oberosler si era complimentato con Marco, non solo per l’originalità del tema, ma soprattutto perché aveva colto la grandezza di Foucault.


La ragione possiede tre strumenti: la riflessione, il dialogo e la scrittura. Parmenide aveva esaltato la riflessione; Socrate si era affidato al dialogo, tanto da condannare la scrittura perché incapace di trasmetterne lo spirito. Foucault si spinge oltre: la scrittura va usata per scoprire, non per raccontare.


A Oberosler inquietava però la forma romanzo, per cui si era sentito in dovere di spiegare il suo personale punto di vista.


− Chi scrive un romanzo gode nell’esercitare “la volontà assurda degli dèi greci”. A capriccio fa nascere, morire, gioire, soffrire i suoi personaggi quando e come crede. Se poi gli sale la pressione fa scoppiare una guerra atomica. Ma ti rendi conto Marco? Uno scrittore può distruggere la Terra e nel contempo creare infiniti universi. E poi, pensaci bene: come per tutte le cose, anche scrivere un romanzo ha un prezzo. Se vuoi inventare storie, devi avere il coraggio di scrivere con il sangue, devi cioè essere pronto a intingere la penna nel tuo vissuto per poi trasfigurarlo in quello che racconti. E più andrai in profondità, più sarai credibile; ma più andrai in profondità, più le ferite del passato torneranno a sanguinare. I traumi, piccoli o grandi che siano, sono la fonte primaria dell’ispirazione. Non dimenticarlo. Se così farai, sarai giudicato scarso, bravo o un genio. Si dirà di tutto. Che la tua scrittura ricorda il volo degli angeli o lo sguazzare goffo di un coccodrillo nel fango di una palude. Non importa. Ma a qualcuno, fosse anche uno solo, il tuo messaggio arriverà. Ancora un avvertimento, Marco, e poi giuro che la smetto. Se vuoi scrivere un romanzo che abbia un senso, non dico successo, devi avere la pazienza del marinaio. Prima o poi arriverà l’onda giusta che ti trascina al largo; solo allora sarà venuto per te il momento di scrivere, non un romanzo, ma quel romanzo che aspettava te per essere scritto; quello che hai cercato in ogni libro che hai letto e che non hai mai trovato.


− Non sapevo che scrivesse romanzi − lo interruppe Marco, sorpreso dall’emotività autobiografica che traspariva dalle parole di Oberosler.

− La verità è che ci sto provando. Sarà pubblicato postumo.

− Davvero?


− Certo. Più passano gli anni, più mi fa soffrire il pensiero di non essere riuscito a comunicare quello che sono. E poi, dopo tanti saggi, mi piaceva l’idea di inventare un mondo parallelo in cui i personaggi rappresentassero i vari lati del mio carattere. È il mio giardino segreto, in cui oscillo tra fanciullezza e vecchiaia, tra psicologia maschile e femminile, tra follia e saggezza in un turbinìo di pensieri che coltivo con l’attenzione di un botanico con qualche disturbo ossessivo.


− Non l’avrei mai immaginato.

− Vedi Marco, la scrittura è un antidepressivo naturale. Gli psichiatri dovrebbero prescriverla indicandone anche le giuste dosi, perché dà dipendenza. Sta di fatto che nella fase della vita in cui mi trovo è la cosa che più mi dà gioia. È il solo modo che conosco per ritrovare il tesoro che ho perso: la giovinezza. Se dovessi mettere un punto a questo romanzo sarebbe come fargli il funerale. Per questo non lo metterò mai.


− Ne può sempre scrivere un altro.

− No, in testa abbiamo una sola musica, e solo quella sappiamo suonare.

− Leggerò il suo romanzo con molto piacere.

− Davvero credi di morire dopo di me? Guarda che anche i giovani muoiono.

− Allora aggiungo, se sarò fortunato.

− Bravo. Così mi piaci.


Chissà perché, mentre aspettava Alice in piazza Emanuele Filiberto, Marco si era ricordato di quella conversazione. Probabilmente, Alice aveva qualche tratto psicologico che gli ricordava Oberosler. La mente li disegnava accostati.


L’immaginario gastronomico di Marco era una terra di nessuno in cui il confine tra cibo tradizionale, vegetariano e vegano era alquanto incerto. Per farla breve, lo stile alimentare vegano era l’obiettivo, ma non sempre ci riusciva. Se aveva infatti qualche problema, allora mangiava vegetariano; se i problemi crescevano, si rifugiava nel cibo tradizionale.


Le bistecche alla texana, per esempio, emanavano virilità, un concentrato di rabbia. Proprio quello che ci voleva per immettere energia nell’incontro con Alice. Un ragionamento decisamente rozzo, per uno come Marco abituato a spaccare il capello filosofico in quattro.


Alice propose di cenare al Sushi del Maslè, dove usavano la carne al posto del pesce nel fare il sushi. Marco disse prima di sì, poi di no facendo notare che quel locale non si trovava nel quadrilatero romano; infine, con lunghi ragionamenti la convinse che il ristorante migliore era quello vegano, e poi si trovava proprio lì, in piazza Emanuele Filiberto. Che cosa mangiare era una questione d’umore. La serata si prospettava piacevole, e non c’era motivo di scambiare il consumo di carne con la virilità.


Che Marco fosse un tipo brillante, Alice l’aveva capito il primo giorno dello stage di filosofia. Quel giubbotto indossato come se fosse un frac non lasciava dubbi. Quello che non sapeva era che per far colpo sulle ragazze usasse infarcire i suoi ragionamenti con degli aforismi. Soprattutto Bertrand Russel, una sorta di Oscar Wilde della filosofia, era per lui una miniera a cielo aperto. Da lì aveva tratto questa graffiante considerazione:


Se un filosofo è un uomo cieco, in una stanza buia, che cerca un gatto nero che non c’è, un teologo è l’uomo che riesce a trovare quel gatto.


Alice abbozzò un sorriso di circostanza, ma non commentò la frase. Non aveva voglia di una discussione su Dio, per lei qualcosa di intimo. Solamente il nominarlo le provocava un ingorgo mentale. Dio è una parola che ne contiene tante altre. E poi non ne avrebbe mai parlato con qualcuno con una faccia da poker come quella di Marco, uno che pensava che a Dio stesse bene qualsiasi religione. Convinzione, quella dell’indifferentismo religioso, tipica di chi pensa che Dio sia un’ipotesi e non una realtà. Chi si ama si ascolta, e lei sentiva dentro di sé la voce di Dio.


A toglierla d’imbarazzo provvide l’arrivo di Giulia. Sul suo viso non c’era trucco; tutta l’ammirazione che traboccava per Marco era genuina.


Poco dopo il cellulare squillò. Messaggio: una promozione della Vodafone. Alice lo lesse rapidamente e con fare preoccupato si alzò: sua madre – disse – era scivolata in cucina, forse si era rotta qualcosa, e la pregava di tornare subito a casa per darle una mano.


Giulia manifestò il suo dispiacere; a Marco invece non sfuggì la messinscena. Da tempo però aveva capito che le scuse sono un modo elegante per evitare di dire qualcosa di sgradevole. Guai a indagare. Niente, la panna della serata non era montata. Sembravano due sconosciuti nella sala d’aspetto di un pronto soccorso. Pazienza. Meglio porre fine all’imbarazzo.


Talvolta succede che incontrare una persona ti faccia scoprire l’importanza di un’altra. E l’altra, per Alice, era il ragazzo che aveva baciato al bar della stazione. Anche perché il bacio non è solo un bacio, ma un test psicologico.


I medievali sostenevano addirittura che il bacio sulla bocca mettesse in comunicazione le anime, tanto che il “segno di pace” durante la messa non avveniva come ai nostri giorni dandosi la mano, ma baciandosi sulle labbra. Il “bacio santo” veniva chiamato. Usanza che è sopravvissuta, anche tra uomini, nella tradizione russa.


Ora Alice fremeva dal desiderio di ritrovare quel ragazzo. Effetto Sartre, avrebbe sentenziato un Oberosler in vena di prendere per i fondelli Marco, se ne fosse venuto a conoscenza. Al che Marco avrebbe replicato che l’amore è una moneta gettata in aria: testa o croce dipende dal caso. E non c’era bisogno di scomodare Bauman per saperlo.

Il rasoio di Ockham
Il rasoio di Ockham
LA STORIA DELLA FILOSOFIA IN UN ROMANZO