capitolo 14

Platone

Ecco che cosa c’è oltre l’apparenza: il Bene!
C’è qualcosa di più entusiasmante di questa scoperta?

Ora i pensieri di Alice erano spumeggianti come onde del mare che si inseguono felici, l’immaginario ideale per entrare in sintonia con Platone. Accese l’iPad e la ruvida voce di Oberosler riecheggiò nella sua camera come una camminata su un pavimento di legno.


− Voi sapete che la civetta è il simbolo della filosofia, perché i suoi occhi scintillanti vedono dove altri non vedono. Immaginate la scena. È sera, buio crescente, dalle nuvole filtrano flebili raggi di luna. Mentre gli animali della foresta dormono, la civetta pensa:


Che cosa sono quelle ombre che vedo laggiù?


− La filosofia di Platone è la risposta a questa domanda.

Alice si distese sul letto. Chiuse gli occhi per aprire quelli dell’anima, com’era solito fare Oberosler prima di iniziare a parlare.


− Secondo la tradizione, Platone era figlio di Apollo. Ma più che figlio di Apollo, Platone era figlio della guerra del Peloponneso. Nacque infatti ad Atene durante l’ottantottesima olimpiade (tra il 428 e il 427 a.C.), mentre infuriava la guerra tra Atene e Sparta. Un conflitto che devastò la Grecia per circa trent’anni e si concluse nel 404 a.C. con la sconfitta di Atene.


All’epoca, tutto faceva pensare che la politica attiva sarebbe stata il suo destino; però l’incontro con Socrate, avvenuto quando Platone aveva circa vent’anni, gli fece cambiare idea. “Platone” è un soprannome, in realtà si chiamava Aristocle. Secondo alcuni, il primo a chiamarlo così fu il maestro di ginnastica. Il termine indicherebbe forza fisica, dal greco platis, che significa “vasto”, “ampio” (come attestano le fonti, Platone era un lottatore di pancrazio, un misto di lotta e pugilato); secondo altri, invece, questo soprannome deriva dalla vastità della sua fronte; secondo altri ancora il termine va riferito all’ampiezza del suo stile letterario. Quando Socrate morì, Platone aveva ventotto anni. Da quel momento si identificò completamente con lui, tanto che lo ritroviamo come protagonista di quasi tutti i suoi dialoghi. Eppure non la pensavano allo stesso modo. Basti dire che Socrate non scrisse nulla, mentre Platone scrisse anche per Socrate; ma soprattutto, mentre Socrate diceva di “sapere di non sapere”, Platone sosteneva di “sapere di sapere”.


Oberosler si interruppe.


− No, non voglio farvi la solita lezione su Platone. Voi sapete che quando un filosofo muore sopravvive nei pensieri di chi lo studia. Dunque si moltiplica. Ora io vi parlerò del mio Platone, delle cose che mi piacciono di lui, per essere chiari. È talmente articolato il suo pensiero che non bastano una vita a capirlo e due vite a spiegarlo.


La prima cosa che mi piace di Platone è una metafora. Per spiegare perché, a differenza di Socrate, che “sapeva di non sapere”, lui “sapeva di sapere”, paragona la conoscenza a una nave che per raggiungere la propria meta, la verità, si avvale di due strumenti: il vento e i remi. La navigazione con il vento ricorda il percorso compiuto dalla filosofia naturalista, da Talete a Democrito, che aveva cercato di spiegare la natura per mezzo della natura, il mondo sensibile per mezzo dei sensi. La navigazione con i remi corrisponde invece al percorso filosofico compiuto con le sole forze della ragione. Si tratta di quel modo di procedere che aveva portato Parmenide a scoprire l’Essere e Socrate l’anima. Proseguendo questo tipo di navigazione, Platone giunge invece a mettere a fuoco la radice della conoscenza: il mondo delle idee. Per questo, a buon diritto, poteva dire di “sapere di sapere”. Domande?


Alessandro si alzò sulle sue gambe incerte.

− Ciao, Alessandro.

− Mi conosce professore?

− Sì, ho visto il video del tuo intervento. Bello.


− Grazie. Immagino che anche lei non ne possa più di sentir dire che “la filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale tutto rimane tale e quale”.


− Certo, non conosco un detto più bugiardo di questo. È la prima cosa che si viene a sapere della filosofia, e purtroppo per molti rimane anche l’unica.


− Che cosa ne direbbe Platone?

− Platone non direbbe niente, scoppierebbe in una di quelle risate che mettono di buon umore. Ma procediamo con ordine e rideremo insieme. Adesso vi chiedo di ascoltare mettendoci del vostro. Oltre che filosofo, Platone era anche un poeta. Sapeva cioè imprigionare le emozioni nei ragionamenti, come Parmenide. Ci vuole dunque immaginazione per volare con lui “al di là del cielo”.

Che cosa sono le idee?

− In greco il termine idea significa “visione”. Le idee sono dunque delle visioni razionali che illuminano la mente. Facciamo un esempio. In un prato ci sono delle cose che si muovono. Di che si tratta? Non lo sappiamo. Ma se la nostra mente viene illuminata dalle idee, ecco che tutto diventa chiaro: in quel prato ci sono degli animali, e precisamente dei cavalli, delle mucche, delle pecore o dei cani. E questo vale per tutte le cose che ci circondano. Senza le idee il mondo per noi sarebbe soltanto un ammasso indistinto senza senso.


Allo stesso modo, è grazie alle idee di bellezza e di giustizia che possiamo dire “questo è bello” o “questo è giusto”. Possiamo cioè godere dell’arte, o avere una vita morale distinguendo il bene dal male. E poi è grazie all’idea di quadrato, di rettangolo o dei numeri che gli architetti sono in grado di progettare le case e i muratori di costruirle.


In breve, se la vita umana non fosse illuminata dalle idee sarebbe come quella degli animali: avremmo cioè solo delle percezioni, ma non capiremmo nulla della realtà che ci circonda. E non capendo nulla, potremmo solo esprimere messaggi simili all’abbaiare dei cani. Immaginate dunque il momento in cui Platone scopre che l’Essere è un mondo meraviglioso popolato da idee. E poi che ogni idea è perfetta, immutabile ed eterna, mentre tutto ciò che ci circonda nasce, muta e infine muore.


Una meraviglia enorme, questo provò Platone: lo capiamo dal luogo in cui colloca il mondo delle idee. Non nella mente degli uomini, per sua natura incapace di contenere l’Essere, e nemmeno in cielo, una sede ancora troppo vicina alla terra, ma nell’iperuranio, addirittura “al di là del cielo”!

Riuscite a vedere con la mente il mondo delle idee?

− Nel mondo delle idee non ci sono cavalli, ma il cavallo; non ci sono quadrati, ma il quadrato; non ci sono tante cose, ma i numeri; non ci sono azioni giuste o belle creazioni artistiche, ma la giustizia e la bellezza. Platone parla con tale entusiasmo del mondo delle idee da far pensare che sia qualcosa di simile all’Olimpo degli dèi o al paradiso. Si tratta invece di una metafora, un’immagine di forte impatto emotivo che contiene questo messaggio: se vuoi capire qualcosa della realtà non fermarti all’apparenza, ma alza il tuo sguardo fino al cielo e poi oltrepassalo. Solo allora scoprirai la fonte della conoscenza, ovvero le idee delle cose naturali, le idee-matematiche, ma soprattutto le idee-valori, come la bellezza e la giustizia, che illumineranno la tua mente. Capirai così che le idee-valori non sono tutte uguali ma ce n’è una suprema, l’idea di Bene, di cui tutte le altre sono fatte. Ecco che cosa c’è oltre l’apparenza: il Bene! C’è qualcosa di più entusiasmante di questa scoperta?


Oberosler serrò le mascelle, come se gli fosse sfuggito qualcosa di troppo. Ne approfittò Alessandro per intervenire.


− Professore.

− Dimmi.

− So che questo è un punto delicato. Ho letto da qualche parte che non conosciamo il vero pensiero di Platone. Il mondo delle idee è solo il portone d’ingresso di un edificio filosofico misterioso.


− Sì, è così. Nel Novecento, alcuni studiosi dell’università tedesca di Tubinga hanno messo in dubbio la spiegazione tradizionale di Platone fondata sulle sue opere. Sostennero che il vero Platone non lo conosciamo. Il suo autentico pensiero sarebbe contenuto nelle Dottrine non scritte riguardanti il Bene.


− E allora che cosa possiamo fare?

− Diamo loro credito, cerchiamo cioè di entrare in questo edificio filosofico misterioso e poi tireremo le somme. Prima, però, Alessandro, vieni qui, siediti vicino a me. Come Socrate, anche Platone amava dialogare. Intervieni pure liberamente.


− Grazie professore − e lentamente, ma con un impegno pari alla sua voglia di capire, Alessandro raggiunse la cattedra.

Che cos’è il Bene?

− Platone discusse a lungo con i suoi allievi di questo argomento, ma non ne fissò mai per iscritto i contenuti. Perché? Non lo sappiamo con certezza. La questione è controversa. Quel che sappiamo è che nella Lettera VII, la principale fonte riguardante la sua vita, riferendosi al Bene dichiara: “Su questi argomenti non c’è e non ci sarà mai un mio scritto”. Siamo quindi di fronte a un paradosso: di Platone possediamo tutte le opere (ben 34 dialoghi, l’Apologia di Socrate e 13 lettere), eppure non conosciamo quello che più gli stava a cuore.


− Assurdo − commentò Alessandro.

− In ogni caso, da quel che racconta Aristotele, le Dottrine non scritte, come vengono chiamate le riflessioni di Platone sul Bene, non erano in contraddizione con quelle scritte. Probabilmente si trattava di riflessioni che per la loro natura richiedevano ulteriori approfondimenti, nel senso che riguardavano il punto in cui il “sapere di sapere” di Platone s’interseca con il “non sapere” di Socrate. Questo è quello che penso al riguardo, e che pensa la maggior parte degli studiosi. Il dibattito però non è affatto concluso.


− Ma se il Bene – riprese Alessandro − è l’idea suprema senza la quale nulla sarebbe, si tratta di Dio? Una realtà che potremmo chiamare Allah, Jahvè o Padre?


− No, − rispose Oberosler − per Platone è divino tutto ciò che è eterno e immutabile. E poi, come Socrate, non immagina di certo un Dio che addirittura crea il mondo dal nulla. Qualcosa di assurdo per la mentalità greca. Come il Bene, divine sono anche le idee, divina è l’anima, divine sono le stelle e così via.


− Certo, ma se le idee sono eterne, mentre noi siamo mortali, come facciamo a conoscerle?


− Bella domanda. Platone risponde a questo interrogativo rifacendosi a una dottrina molto diffusa nell’antica Grecia, l’orfismo, secondo cui l’esistenza termina con la morte del corpo, ma non dell’anima. Essendo immortale, l’anima sopravvive per trasferirsi in un nuovo corpo (processo chiamato “metempsicosi”), fino al completo trionfo dello spirito. Allo stesso modo, per Platone la nostra anima, prima di incarnarsi in un corpo, ha vissuto “al di là del cielo”, nell’iperuranio, dove ha conosciuto il mondo delle idee.


− Okay, ma dopo la nascita, che cosa ricorda l’anima di quella visione? − Alessandro era impaziente di giungere al dunque.


− Poco, – rispose Oberosler − ne ha soltanto una sbiadita immagine, un vago ricordo che si risveglia nel momento in cui vediamo gli oggetti sensibili. Di conseguenza, quello che ci sembra frutto di apprendimento, in realtà altro non è che il ricordo di quello che l’anima ha visto nel mondo delle idee. Crolla così il relativismo dei sofisti: perché la conoscenza non solo è possibile, ma è anche universale, in quanto esiste il mondo delle idee. E lo stesso linguaggio, che per i sofisti era solo una convenzione, torna a essere veicolo di verità. Se dunque dico: questo è un cavallo, questo è un quadrato o questo è bello, la mia frase non è vuota, perché la mia anima conosce le idee di “cavallo”, “quadrato”, “bellezza”. Non è dunque l’uomo misura di tutte le cose, come sosteneva Protagora, ma sono le idee misura di tutte le cose.


− Mi scusi professore, la spiegazione però non quadra. Acqua e olio non si mescolano: come fa l’anima immortale, voglio dire, a essere in relazione con la vita mortale?


− Hai centrato il problema. Per rispondere a questa domanda, più che i remi della ragione servirebbero ali divine. Ma Platone non si perde d’animo e ricorre a degli “incantesimi”, così definisce i miti: racconti che, per magia, sono capaci di rendere semplici questioni complesse.


− Miti ripresi dalla tradizione?

− No, quelli di Platone sono racconti ben diversi dalle credenze irrazionali che formavano l’immaginario collettivo del mondo antico. Si tratta di sue invenzioni poetiche che svolgono una funzione allusiva, nel senso che alludono a una dimensione che va oltre le capacità dell’indagine filosofica.


− Ma un filosofo che abbandona la strada maestra della spiegazione razionale non rischia di essere frainteso?


− Certo, il rischio ovviamente c’è, Platone ne è consapevole. Ma “il rischio è bello”, dichiara nel Fedone.


− “Il rischio è bello” − ripeté a bassa voce Alessandro. − Non pensavo che Platone fosse un giocatore d’azzardo.


− E come no. Aveva un coraggio intellettuale incredibile. Sapeva di sapere, certo, ma sapeva anche che la verità assoluta non la raggiungeremo mai. Dobbiamo però provarci senza timore: per questo “il rischio è bello”. In ogni caso, il tema dell’immortalità dell’anima è affrontato nel mito di Er.


− Il guerriero Er, caduto in battaglia, mentre già arde la pira per la sua cremazione, dopo dodici giorni si risveglia e racconta di aver visto le anime scegliere la loro vita futura. Una decisione per nulla facile: scegliere per esempio onori e ricchezze, significa accettare anche l’infelicità e il dolore che essi comportano; meglio dunque optare per una vita umile, che non implichi grandi sofferenze. Dopo la scelta, le anime vengono condotte a bere l’acqua del fiume Lete, che procura l’oblio; così, nel momento della nascita, nulla ricorderanno di quanto avvenuto nell’aldilà.


− E allora, che cos’è l’anima? Non l’ha ancora definita, vero professore? O forse non ce n’è bisogno perché Platone condivide la definizione di Socrate?


− No, Platone va oltre Socrate. L’anima non solo è la sede della capacità d’intendere e volere, ma anche di ciò che contraddistingue un individuo dagli altri: il suo carattere. Lo diceva già Eraclito:


Il carattere crea il destino.


− Che è come dire: gli dèi, il fato, la fortuna o la sfortuna non c’entrano nulla. Non sono loro che ingarbugliano la nostra vita. La felicità o l’infelicità dipendono solo da noi. Dal nostro carattere.


− Ma se le cose stanno così, come si formano i caratteri?

− Platone ce lo spiega con un altro mito, quello della biga alata.

− La “biga” era un carro, vero?


− Certo, si trattava di un carro leggero con due sole ruote agganciato a dei cavalli. Veniva utilizzato nelle corse e in guerra.


La nostra anima, racconta Platone, è simile a una biga trainata da due cavalli alati, uno bianco e docile, l’altro nero e ribelle. L’auriga cerca di guidare la biga verso il cielo fino a raggiungere l’iperuranio, dove hanno sede le idee. Il cavallo ribelle, tuttavia, tende sempre a riportare la biga verso il basso, dove hanno sede le realtà sensibili.


Per questo Socrate ammoniva: “Abbi cura di te stesso”. Abbi cura, cioè, di puntare sempre verso l’alto, ci spiega Platone, solo così ti sentirai bene e sarai felice.


− Verso l’alto in che modo?

− Con l’amore.


Oberosler respirò profondamente, oltrepassando con lo sguardo l’aula e i presenti. Se esiste l’iperuranio, lui lo stava contemplando. Poi tornò nel mondo reale.


− Ancora un minuto d’attenzione. La prossima volta parleremo dell’amore, il cuore della filosofia di Platone.


Non c’è un’emozione intellettualmente più grande del sentirlo palpitare.

Il rasoio di Ockham
Il rasoio di Ockham
LA STORIA DELLA FILOSOFIA IN UN ROMANZO