capitolo 15

Nella caverna di platone

Quando notiamo un corpo o un volto con “fattezze divine”, “l’anima si agita come un bambino a cui spuntano i denti”.

Platone è un filosofo teatrale, andrebbe letto ad alta voce. Ma quella sera la luna si era invaghita del silenzio. E poi per comprendere i dialoghi di Platone occorre conoscerne la password. Tutta la password, non solo un pezzo. Insomma, mancava il secondo tempo della lezione su Platone.


Le idee abitano nell’iperuranio, oltre il cielo, pensò Alice. Allora là non ci possono stare i sentimenti. Sa di freddo l’iperuranio.


Alice riaccese l’iPad. Sentiva il fiato del tempo sul collo e voleva sapere di quali segreti della vita fosse portatore Platone. Il prima possibile. Anche attraversando la strada si può morire; non solo di tumore.


− Alessandro? Dov’è Alessandro? − Oberosler si guardò intorno.

− Sono qui, professore.

− Puoi venire alla cattedra? Così continuiamo la nostra “chiacchierata di bottega” su Platone.

− Certo − rispose Alessandro alzando il bastone per segnalare dove si trovava. − Ci metto solo un po’.

− Fa’ con comodo.


− Grazie − e prese a camminare come se ogni passo fosse una meta. Era evidente che le sue articolazioni filosofiche funzionavano meglio di quelle delle gambe.


Oberosler lo osservò compiaciuto. La filosofia ha un potere rigenerativo, e con lui stava facendo un buon lavoro.

Che cos’è l’amore?

− In tempi antichissimi l’umanità era divisa in tre generi: vi erano le femmine, figlie della terra da cui nasce ogni cosa; i maschi, figli del sole i cui raggi fecondano la terra; e gli androgini, figli della luna in quanto partecipavano della natura sia della terra sia del sole, in cui convivevano nella stessa persona un uomo e una donna. Ma la cosa più sorprendente era che tutti gli esseri umani − maschi, femmine e androgini – avevano due teste, quattro braccia, quattro mani eccetera.


L’umanità visse così fino a quando, spinta dalla superbia, non tentò di scalare l’Olimpo. Allora Zeus e gli altri dèi decisero di intervenire e per indebolire l’umanità tagliarono i tre generi umani in due parti. Da quel momento le due metà di cui erano fatti i maschi, le femmine e gli androgini presero a cercarsi, così da ricostruire quell’unità originaria: il che spiega l’attrazione sessuale.


Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: coloro i quali derivano dagli androgini, se uomini provano attrazione per le donne, e se donne per gli uomini; coloro invece che derivano da coppie di donne preferiscono le donne, così come coloro che derivano da coppie di uomini sono attratti dagli uomini. L’emozione dunque che provano gli innamorati scaturisce dalla sensazione di aver ritrovato quell’intero che hanno perduto.


− Ho capito bene, professore? Per Platone non esiste l’amore, esiste chi ami. Siamo la metà di una mela, e siamo disperati fino a che non troviamo l’altra metà.


− Sì, questo è quanto dice il mito dell’androgino; poi però Platone fa un passo avanti e si chiede: che cosa ci piace dell’altra metà della mela?


− E che cosa scopre?

− Che ci piace perché la troviamo bella. Per farla breve, la bellezza è una calamita in quanto esercita una forza di attrazione. E la forza di attrazione che esercita la bellezza si chiama “amore”.


− Ma allora, se è la bellezza che ci attrae, in che cosa consiste?

− La definizione di bellezza è alquanto articolata, e…

− Mi faccia indovinare, professore. Platone ricorre a un mito.

− Ovvio.


− L’amore, Eros in greco, è figlio di Penìa, dea della povertà, e di Poros, dio dell’ingegno, inteso come l’inclinazione a ricercare quello di cui si è privi. Dalla madre, Eros ha ereditato la mancanza di bellezza, ma dal padre un irresistibile impulso verso di essa e l’astuzia per conquistarla.


Inizialmente Eros è attratto dalla bellezza di un corpo. Un’attrazione indubbiamente fisica, ma che già esprime desiderio di eternità, nel senso che si manifesta nel desiderio di generare da un corpo bello un altro corpo bello.


Per questo nel momento in cui notiamo un corpo o un volto dalle “fattezze divine”, sostiene Platone, avvertiamo come un brivido e “l’anima si agita come un bambino a cui spuntano i denti”. Non ci importa più nulla, dimentichiamo tutto: madre, fratelli, amici, ricchezze. L’unica cosa che ci interessa è rimanere accanto all’amato.


L’amore si presenta così come una sorta di “dolce follia divina”, una forza che spinge l’anima a percorrere tutti i gradini della scala che conduce alla bellezza in sé.


Alice ebbe un sussulto. Una “dolce follia divina”: la stessa sensazione che aveva sperimentato baciando quel ragazzo al bar della stazione.


− Ma c’è di più. Se infatti, dopo l’esperienza dell’incontro con l’amato, si alza lo sguardo, secondo Platone si scopre la bellezza corporale, nel senso che si comprende che ciò che ci attrae non è tanto quel singolo corpo, ma la bellezza presente in tutti i corpi.


Il passo successivo è la scoperta della bellezza dell’anima, cioè dell’amore spirituale, un amore più grande di quello fisico in quanto ha come contenuto l’eterno. Il corpo, infatti, decade e muore, mentre l’anima è immortale.


Al di sopra, vi è poi l’amore per la bellezza delle istituzioni e delle leggi, in quanto sono creazioni dell’anima.


Successivamente si rimane ammirati di fronte alla bellezza delle scienze. Infine l’uomo giunge a scoprire la bellezza della verità, la bellezza cioè a cui mira la filosofia in quanto “amore per la sapienza”.


In conclusione, secondo Platone, l’amore è la forza che opponiamo al tempo che tutto divora: in una parola, alla morte. Quella forza ascensionale che a partire dall’attrazione sessuale ci spinge verso cose sempre più belle, fino a diventare amore per la verità: in una parola, filosofia.


− A partire dall’attrazione sessuale… Dunque, professore, l’amore per Platone non è affatto “platonico”. Eppure nel linguaggio comune si usa l’espressione “amore platonico” per indicare una relazione amorosa soltanto spirituale. Secondo lei, perché?


− Per Platone, l’amore fisico è il primo gradino della scala dell’eros e c’è un legame di continuità tra la dimensione corporale e quella spirituale. Sarà invece il filosofo rinascimentale Marsilio Ficino a coniare l’espressione “amore platonico”, trasformando Platone in un asceta medievale. Ma la storia è così: una fabbrica di fake news.


− E non c’è un rimedio?

− La filosofia è un buon rimedio individuale. Ma non esiste un rimedio che possa funzionare in generale. All’umanità piace produrre fake news al ritmo con cui i francesi sfornano baguettes. Altre domande?


− Sì. Il pensiero di Platone sulle donne ricalca la mentalità degli antichi Greci?

− No. Gli antichi Greci diffidavano delle donne: le ritenevano ovviamente indispensabili per avere dei figli, ma le consideravano pericolose poiché attraenti e ingannatrici. Platone, invece, e non solo per quanto riguarda l’amore, le pone sullo stesso piano degli uomini.


− E sull’omosessualità che mi dice?

− Per quanto riguarda i rapporti tra persone dello stesso sesso, gli antichi Greci avevano un’idea molto diversa dalla nostra, tanto che non conoscevano il termine “omosessuale”, sebbene sia di derivazione greca. Per loro una coppia formata da due maschi era accettata solo se “asimmetrica”, composta cioè da un adulto e un ragazzo. Faceva parte della tradizione, in quanto aiutava il ragazzo a diventare cittadino a tutti gli effetti. Giustificazione che non valeva invece per le donne. La stessa celebre poetessa Saffo venne insultata in tutti i modi per le relazioni intrattenute con le fanciulle della sua comunità, a Lesbo.


Da qui l’originalità di Platone rispetto alla mentalità del tempo. Platone attribuisce infatti ai rapporti amorosi tra persone dello stesso sesso, maschi o femmine che siano, sempre un significato ideale, identico a quello delle coppie eterosessuali: l’amore come completamento di sé, indipendentemente dall’età e dal sesso.


Un telefono squillò. Il malcapitato però riuscì a spegnerlo prima che venisse individuato. Oberosler ne approfittò per tirare il fiato.


− L’ascesi dell’eros è un percorso individuale a cui non è estraneo l’aspetto politico espresso nell’amore per le istituzioni e per le leggi. A questo specifico argomento Platone dedicò il suo dialogo più celebre, la Repubblica.


− Se non sbaglio, professore, la Repubblica di Platone è la prima utopia della storia.


− Sì, è così. Il termine utopia deriva dal greco e significa “non luogo”, il “luogo che non c’è”. Venne coniato da Thomas More come titolo della sua opera. Ma il genere “utopia” è un’invenzione di Platone; un’invenzione straordinaria che ha marchiato a fuoco la storia dell’umanità. Tutte le rivoluzioni che si sono succedute fino ai giorni nostri sono state scatenate da una qualche forma d’utopia, sempre a proposito della filosofia che è quella cosa con la quale o senza la quale tutto rimane tale e quale. Ma ascoltiamo Platone.

Su che cosa si fonda lo Stato?

− Ogni comunità, per il solo fatto di essere tale, risponde Platone, fosse anche una banda di briganti, si fonda sulla giustizia. Quando una banda di briganti distribuisce tra i suoi membri il bottino, quale criterio usa? Non si affida forse all’idea di giustizia per trovare un modo che metta tutti d’accordo?


Come qualsiasi comunità, dunque, uno Stato è tanto più forte quanto più è giusto.


− Ma quando uno Stato è giusto, professore?

− Alessandro, ti devo fare i complimenti. Vedo che incominci a capire il modo di procedere di Platone. Problema-definizione-ragionamento-soluzione. Ora però vorrei procedere per un po’ senza interruzioni, così non perdo il filo del discorso.


− Okay.

− Uno Stato è giusto quando tutti i cittadini sono giusti. Può sembrare una risposta banale, quella di Platone, in realtà è carica di implicazioni. Perché lo Stato è da immaginarsi come un individuo “in grande”, la proiezione delle caratteristiche umane. Ne deriva che l’organizzazione dello Stato deve rispecchiare l’anima dell’individuo.

Com’è fatta l’anima?

− Secondo Platone, l’anima si articola in tre parti: la più nobile è quella razionale, corrisponde all’auriga nel mito della biga alata. Sua è la virtù della saggezza. Segue poi la parte irascibile (o volitiva), corrisponde al “cavallo bianco” e ha come virtù il coraggio. Infine la terza parte in cui si articola l’anima è quella concupiscibile, quella cioè che esprime i desideri più elementari dell’uomo e corrisponde al “cavallo nero”. Ne è caratteristica la temperanza, ovvero la moderazione: una virtù comune a tutte le parti, in quanto consiste nel lasciarsi guidare dalla ragione.


Secondo Platone un cittadino è dunque giusto se vive secondo sapienza, coraggio e temperanza: solo così, infatti, fa ciò che deve fare nel modo in cui lo deve fare.

Come dev’essere organizzato lo Stato?

− Poiché l’anima si articola in tre parti, così lo Stato dev’essere diviso in tre classi.


La prima classe è quella dei governanti o filosofi-re: corrisponde alla parte razionale dell’anima e ha come virtù la saggezza.


La seconda classe è quella dei guerrieri (o guardiani): corrisponde alla parte irascibile dell’anima e ha come virtù il coraggio.


La terza classe è quella dei cittadini comuni o lavoratori (produttori), dediti a varie attività (artigiani, contadini, mercanti) e corrisponde alla parte concupiscibile dell’anima. È caratterizzata dalla temperanza, virtù che consiste nella concordia tra governati e governanti.


Dunque uno Stato vive nella giustizia se tutti adempiono con lealtà alle loro funzioni: i cittadini comuni devono produrre quanto serve alle necessità dello Stato; i guerrieri devono difenderlo con coraggio, mentre ai governanti spetta l’onere di dirigerlo con saggezza.


− Mi scusi professore, questo glielo devo proprio chiedere: ma come pensava Platone di impedire a chi detiene il potere di arricchirsi o di favorire i propri figli incapaci?


− Platone non era un ingenuo, se è quello che pensi; si rende conto della gravità del problema e per risolverlo propone una drastica soluzione: l’abolizione della famiglia e della proprietà privata. I governanti e i guerrieri, cioè, “avranno donne in comune e nessuno avrà una moglie propria”. Nella Repubblica si parla di “comunanza delle donne” per dire che la famiglia viene abolita. Il che implica quindi anche la “comunanza degli uomini”.


Platone ha grande considerazione per le donne. Basti dire che ritiene che anche le donne possano far parte non solo della classe dei governanti, ma anche di quella dei guerrieri, sebbene siano dotate di minor forza fisica.


Il problema che preoccupa Platone è piuttosto un altro: quale criterio ci deve guidare nella scelta della generazione? Che senso ha infatti lasciarsi guidare dai sentimenti, per loro natura irrazionali, in un ambito così importante della vita non solo dei singoli ma anche dell’intera società? Nessun senso: meglio affidarsi alla ragione. Dobbiamo cioè fare esattamente come si fa con i cavalli: i migliori si devono accoppiare con i migliori.


− E poi che succede ai bambini?

− Una volta venuti al mondo, i bambini verranno sottratti ai loro genitori ed educati in gruppo “in modo che i figli non conoscano i loro padri e i padri i loro figli”. L’abolizione delle famiglie consentirà così allo Stato di diventare una sola grande famiglia, in cui ognuno sarà valutato per quello che è, e non perché è figlio o parente di qualche personaggio importante. Analogo discorso vale anche per l’abolizione della proprietà privata. Come nel caso della “comunanza delle donne”, anche l’espressione “comunismo” va intesa nel contesto dello Stato immaginato da Platone.


− Platone era comunista?

− No. Sto dicendo esattamente il contrario. Nello Stato immaginato da Platone la proprietà non è affatto abolita; anzi, esiste per la classe più numerosa, quella dei comuni cittadini. Solo i governanti e i guerrieri ne sono privi, così da evitare che approfittino del loro ruolo per arricchirsi.


− Ma senza famiglia e proprietà è possibile essere felici?

− Certo, risponde Platone. Perché non è il numero degli amanti o delle cose possedute che rende una persona felice: la felicità è armonia razionale, non esaltazione irrazionale. Quanto gode chi vince una gara? Ma quanto soffre in attesa della vittoria o in caso di sconfitta? La felicità, dunque, che dobbiamo ricercare è un sentimento stabile, quello per esempio che proviamo nel contemplare il tramonto del sole.

Mito o allegoria della caverna?

− Per riassumere il suo pensiero, nella Repubblica Platone ricorre a un celebre racconto, passato alla storia come “mito della caverna”. Ma più che un mito, si tratta di un’allegoria.


− Che differenza c’è?

− L’allegoria è un paragone, mentre il mito è una narrazione riguardante le vicende degli dèi o degli eroi.


Dunque, racconta Platone, la condizione umana è simile a quella di alcuni uomini incatenati in una caverna sotterranea. Sul fondo della caverna, come su uno schermo, scorgono solo ombre generate da un fuoco. Sono ombre di statue che alcuni uomini lasciano sporgere da un muro posto alle spalle dei prigionieri e che raffigurano ogni tipo di oggetto.


Per gli uomini incatenati, le ombre sono l’unica realtà esistente. Ma se uno di loro riuscisse a liberarsi, che cosa capirebbe? Comprenderebbe che gli oggetti prima ritenuti veri non erano che ombre. Uscito poi dalla caverna, sarebbe prima abbagliato dal sole, infine vedrebbe tutto con grande chiarezza.


Immaginiamo a questo punto che decida di tornare nella caverna per condividere la sua meravigliosa scoperta con i vecchi compagni: che cosa gli capiterebbe? Molto probabilmente, non riuscendo più a vedere le ombre, i vecchi compagni lo accuserebbero di essere tornato con “gli occhi guasti”. Sarebbe cioè deriso, se non addirittura ucciso dagli altri prigionieri, infastiditi dal suo atteggiamento.


La simbologia dell’allegoria è chiara. La caverna oscura è il mondo in cui viviamo: i prigionieri incatenati sono gli uomini, vittime delle loro passioni e dell’ignoranza; il fuoco è il tipo di risposta data dai primi filosofi, che la cercano nella natura; le ombre riflesse sul fondo della caverna rappresentano le cose del mondo sensibile; il prigioniero che si libera corrisponde al filosofo che ricerca la verità; il sole è il Bene che illumina il mondo delle idee; il ritorno nella caverna indica la missione del filosofo, che rischia di fare una brutta fine. Come Socrate.


− Gira e rigira torniamo sempre lì, al Bene. Ma è possibile educare al Bene?

− Platone condanna la tradizionale educazione greca fondata sulle grandi opere di Omero, Esiodo, Eschilo e Sofocle. Che cosa si può imparare dai loro versi se non diseducativi insegnamenti legati a vicende immaginarie? Solo la filosofia, è la conclusione a cui giunge Platone, ha in sé la capacità di educare pienamente al Bene. Non la poesia.


− Anche la pittura e la scultura sono condannate?

− Certo, in quanto copie degli oggetti sensibili, che sono a loro volta copie delle idee: si tratta dunque di imitazioni di imitazioni. Di conseguenza, non solo non aggiungono nulla a quello che già sappiamo, ma distolgono l’attenzione da quelle attività razionali che elevano l’anima verso il Bene.


− Non capisco. Platone, oltre che filosofo, era anche un poeta, ce lo ha ricordato più volte, eppure condanna la poesia.


− L’andamento dei suoi ragionamenti è teatrale, nel senso che Platone amava sorprendere con colpi di scena. Esiste anche una poesia “bella”, così la definisce, non fondata sulla falsità ma su emozioni razionalmente rivolte al Bene.


− Per esempio?

− L’esempio ce lo fa Diogene Laerzio, secondo cui Platone indirizzò versi d’amore sia a donne sia a uomini. Tra le sue conquiste maschili va ricordato Aster, che potrebbe essere Fedro, protagonista di un suo celebre dialogo: Aster significa infatti “astro”, nel senso di stella, e Fedro “brillante”.


La voce di Oberosler si incrinò, mentre l’ombra di qualche ricordo rigò di lacrime i suoi occhi scuri. Gli succedeva sempre così quando s’imbatteva in quelli che considerava i più bei versi d’amore di tutti i tempi.


− È notte, una luminosa notte di duemila e cinquecento anni fa. Aster scruta le stelle e il suo sguardo si perde tra le magie del cielo, astro tra gli astri. Platone assapora la scena. A lungo, in silenzio. Poi così si rivolge ad Aster:


Tu guardi le stelle, stella mia, e io vorrei essere il cielo per risponderti con uno sguardo infinito.


Senza parole. L’immaginario filosofico di Platone, a cui fa eco quello poetico, ti lascia così. Senza parole, e con la voglia di volare.


Occorre alzare lo sguardo verso il cielo e oltre per capire le cose della terra: questa è la risposta che Platone dà all’interrogativo della civetta dagli occhi scintillanti.

Il rasoio di Ockham
Il rasoio di Ockham
LA STORIA DELLA FILOSOFIA IN UN ROMANZO