capitolo 17

Un gran sasso nero

Nulla sa essere più sgradevole della verità;
ma nulla dà più soddisfazione dello sfidarla.

Qual è il suono della felicità? Armonie dell’aldilà, lato paradiso. E quando la felicità inciampa nel dolore che succede? Quello che sentì Franz, nel momento in cui Alice si mostrò calva, fu un lamento sgradevole da violino fracassato. Poi il suono divenne cupo, profondo, da basso ostinato. Disarmonie dell’aldilà, lato inferno.


Quando ritornò in sé, Franz si ritrovò a camminare in via Roma. Con la testa in avaria, le gambe avevano preso il comando della situazione. C’era una sola cosa da fare: lasciarsi guidare dall’istinto, e l’istinto diceva Eleni.


Amare significa “compatire”: “soffrire con”, ci spiega Schopenhauer. E lui sentiva suo il dolore di Alice. Qualcosa però l’aveva trattenuto dall’abbracciarla.


Raggiunta piazza Carignano, Franz si accasciò sulla prima panchina che trovò. Questa volta Eleni smise subito di cantare e lo raggiunse:

− Che c’è?

− Niente.

− Non mi pare proprio.

− Ho incontrato la ragazza dai capelli color fuoco. Si chiama Alice.

− E allora?

− E allora non so che fare.

− Che tipo è?


− Mah… abbiamo scambiato solo due parole. Simpatica.

Lo sguardo storto di Franz indicava scarsa voglia di parlarne.


− Perché sei qui?

− Volevo dirti…

− Cosa…

− Che mi dispiace. Eleni, se vuoi…


− Ascolta, smettila di frignare e sorridere insieme. Hai trovato l’amore della tua vita; te lo si legge in faccia, e non solo da oggi. Il tuo cuore batte per lei, e il suo per te. Tu e lei. Siete immersi nella medesima realtà parallela: che c’entro io?


− Ho paura di perderti.

− Che vuoi dire?

− Che tutto può succedere. Chissà…

− No, porta pazienza: stare in stand-by non fa per me.

− Ma se…

− Se cosa? Smettila. Non sono e non sarò mai la tua ragazza di scorta.

− Eppure sento che tra noi c’è qualcosa. Mi capisci?

− Certo, è questo che mi fa soffrire.

− Abbracciami, Eleni.


Vivere è un mestiere difficile e la sconfitta ci sta. Quell’abbraccio era un addio. Le parole non lasciavano dubbi. Solo i loro occhi sprigionavano malinconia per aver visto l’alba di un amore che non aveva avuto il tempo di diventare giorno.


Mentre Franz si allontanava, Eleni radunò le sue cose. Chissà che cosa sarebbe successo se il corso delle emozioni fosse stato diverso. Se Franz avesse cioè incontrato prima lei e poi Alice, avrebbe scelto sempre Alice?


Meglio non pensarci. Vivere ravanando nel passato è pura follia. Bisogna farsene una ragione perché il passato è anche amore. Ripudiarlo è come se un bambino volesse vivere senza i genitori.


Tempo addietro, quando ancora non aveva incrociato il possibilismo, Eleni aveva ricevuto in regalo dalle sue amiche un libro dal titolo provocatorio:


La principessa un po’ stronza.


Diventano un po’ stronze le principesse che vengono respinte da un principe azzurro. E non si rassegnano perché per loro esiste solo quello lì, nessun altro, mentre di prìncipi azzurri è piena l’umanità.


Al mondo ci sono più di 7 miliardi di persone; di queste almeno cento milioni sono dei ragazzi giovani e carini. E se lei avesse potuto fare una selezione, quanti le sarebbero piaciuti? A essere più che esigenti, almeno 10 milioni. E di questi 10 milioni quanti, conoscendola, le direbbero “ti amo!”?


A fare anche in questo caso i difficili, un milione? Sono troppi? Facciamo centomila? Ancora troppi? Diecimila. Sì, può andare bene, diecimila ragazzi erano lì che l’aspettavano. Dove? Qualcuno dalle parti dell’Himalaya; altri in Patagonia, altri ancora stavano prendendo il sole su qualche isola del Pacifico. E allora? A lei ne bastava uno solo. Il calcolo delle probabilità era dalla sua parte.


In ogni caso, se è vero che nulla sa essere più sgradevole della verità, è altrettanto vero che non c’è niente di più bello dello sfidarla. Così almeno ragionava Eleni, da tempo convinta che il dipanarsi di un groviglio sentimentale dovrebbe essere accompagnato dai botti di capodanno.


Dunque, vai con Dio, Franz. Il mondo è grande e c’è posto per tutti, come disse quel tale alla mosca aprendo la finestra.


Il possibilismo, più che una filosofia, è un’arte che richiede fantasia e ottimismo a palate. Tutte cose che la natura regala a quei pochi che le vanno a genio. Ed Eleni faceva parte di quel club esclusivo.


Varcata la soglia del bar, Franz scannerizzò il locale. Alice non c’era. Ovvio. Più le ragazze sono carine, meno ti aspettano. Prima regola che s’impara nei corsi accelerati per aspiranti Casanova. Insomma, il gin tonic aveva funzionato fino a un certo punto come intrattenitore, poi Alice era uscita.


− Dov’è quella ragazza?

− Se n’è andata − rispose il padrone del bar un po’ scocciato.

− E dov’è andata?

− Sei un bel tipo, come faccio a saperlo?


In quel preciso istante, come se uscisse dalle quinte di un teatro, comparve Alice.


− Dov’è la mia borsa?

− La tua borsa? Eccola lì.


Franz non ci poteva credere. I miracoli non si ripetono mai. Per definizione, altrimenti non sarebbero miracoli. Eppure, due volte aveva perso quella ragazza, e altrettante ritrovata.


− Alice dove abiti? Mi dai il tuo numero? Non ti lascio più!


E mentre le parole si spegnevano, presero a respirare all’unisono perdendosi in quell’abbraccio luminoso che hanno le coppie a cui le stelle sorridono.


− Ma la mamma non ti ha insegnato che non si baciano le sconosciute?

− E tuo nonno non ti ha detto che l’amore non si cerca ma succede?

− Franz! − La voce del padrone del bar risuonò imperiosa. − Sei tornato finalmente?

− Sì, missione compiuta, mi licenzio.


Il padrone del bar era uno di quelli con la parolaccia sempre in canna, ma si trattenne.


− Dammi quanto mi spetta e…

− Niente, senza preavviso non ti spetta niente. Ti ho pagato sabato, oggi è solo martedì, mi tengo i soldi di questi due giorni come risarcimento del danno che mi stai causando andandotene via all’improvviso. Se vuoi ti offro un caffè.


− Grazie lo stesso.

− Vai per la tua strada, Franz, ma ricordati che l’amore non perdona.

− Che significa?

− Lo capirai da solo, non ti preoccupare. E se non lo capirai vorrà dire che sei più stupido di quello che sembri.


Alice, intanto, l’aspettava vicino alla porta con la borsa stretta in vita. Franz la raggiunse e uscirono insieme dandosi la mano.


− Allora, raccontami qualcosa di te.

− No, prima tu. Incomincia dalla parrucca.


Alice si fece seria. Raccontarsi come l’eroina di un melodramma le faceva tristezza, per cui riassunse la sua storia senza scialo di aggettivi: dalla scoperta del tumore alla chemioterapia fino all’ultimo colloquio con il dottor Monchiero. Botto finale: c’era una cura, e tutto sarebbe andato a posto.


Franz l’ascoltò in silenzio, stringendole la mano nei passaggi più dolorosi. Ti accorgi di amare qualcuno quando ami tutto di quella persona, tumore compreso. E la sensazione che quella ragazza fosse al mondo per stare con lui, e lui con lei, cresceva di respiro in respiro.


− Adesso tocca a te − concluse Alice con aria leggera.

− Io non ho una storia complicata come la tua. Mi trovo in una fase che si può sintetizzare con un titolo scarno: passaggio in ombra.


− Che vuoi dire?

− Che non so quale direzione prendere. Non vedo chiaro, come quando in montagna calano le ombre della sera e ti trovi di fronte a un crocevia: quale sentiero ti porterà a casa? Prima studiavo astronomia, ora non più. Mi sta incuriosendo la filosofia, ma non ho nessuna intenzione di iscrivermi all’università.


− Invece io… sto frequentando uno stage di filosofia, qualche cosa di diverso dal solito.

− Ma dai!

− Vieni anche tu, ti piacerà. C’è un professore… Oberosler.

− Mai sentito.

− Non è di Torino, viene da Trento.

− Okay, quando vi incontrate di nuovo?


− Il primo martedì del prossimo mese, alle Officine Grandi Riparazioni, in corso Castelfidardo 22. Ore dieci. Si parlerà di Aristotele.

− Bene.

− Intanto incomincia a leggere qualcosa sul Cigno Nero.

− Che cos’è?

− Una rivista di filosofia diretta da Oberosler. Ecco, questo è il numero dedicato al rapporto tra verità e post-verità. Te lo presto.

− La post-verità? Che roba è? Non ne so niente.

− Appunto, incomincia a informarti.


Dopo qualche altro scambio di battute raggiunsero la casa di Alice.


− Quando ci vediamo?

− Non so… ora sono davvero stanca, ma vallo a spiegare a mia madre, che questa sera vuole portarmi fuori a cena.

− E tu che vorresti fare?

− Starmene tranquilla a riflettere, per esempio.

− Su cosa?

− Su qualcosa, qualsiasi cosa.


− Allora, Alice, ti suggerisco un argomento che ho scoperto da poco: rifletti sul fatto che il mondo non esiste ma è solo un sogno. In questo caso tu sei una mia invenzione. Che ne dici, sono bravo come inventore?

− Ma dai, Franz…


− Si chiamano solipsisti quelli che la pensano così. Magari hanno ragione loro.

− E tu sei d’accordo?

− A volte.

− Allora ti racconto una storiella. La troverai sul Cigno Nero che ti ho prestato. Sei pronto?

− Certo.


− Su un’isola vi è un gran sasso nero, che dopo varie esperienze e lunghe discussioni, tutti gli abitanti credono bianco.

− Ebbene?

− Il sasso resta nero, e gli abitanti dell’isola sono dei cretini.

− Come me… questo mi vuoi dire?

− No, la morale è una domanda: non è facile guardare negli occhi la realtà, tu ci riesci?


E, senza aspettare la risposta, Alice scomparve sequestrata dal portone. Succede sempre così: più le ragazze sono carine, meno ascoltano. Seconda regola che s’impara nei corsi accelerati per aspiranti Casanova.

Il rasoio di Ockham
Il rasoio di Ockham
LA STORIA DELLA FILOSOFIA IN UN ROMANZO