capitolo 22

Agostino

Tendi là dove si accende la luce della ragione.
Dio fornisce il vento ma l’uomo deve alzare le vele.

Le idee geniali volteggiano nell’aria come api cariche di nettare e la noia è la migliore rete acchiappa-idee geniali che esista. Perché la noia è concreta, come sa chiunque l’abbia osservata all’opera.


A letto, come tutti i pigri di professione, Franz stava dando la caccia a qualche idea geniale, quando si ricordò che era martedì. Batté qualche record uscendo di casa e si ritrovò seduto nell’aula di filosofia delle Officine Grandi Riparazioni. Alice non era ancora arrivata. Tirò il fiato e riprese a riflettere sulla noia come acchiappa-idee geniali.


Per portare a perfezione il marchingegno ci voleva il dolce dondolio di un’amaca. Ma dove metterla? Nel salotto, al posto del divano? Poteva essere una soluzione. I filosofi antichi amavano riflettere passeggiando. Lui l’avrebbe fatto dondolando. Rispetto al letto, il progresso era evidente. E non era tutto.


Poiché i modi influenzano i contenuti, con il tempo avrebbe dato vita a una nuova scuola di pensiero, che sarebbe passata alla storia come “la filosofia dell’amaca”.


C’era solo un problema: senza divano dove si sarebbero seduti gli ospiti? L’unica soluzione era stendere l’amaca nella sola parte rimasta libera della casa: vicino alla porta d’ingresso. Che fosse un’idea geniale solo il tempo l’avrebbe detto.


Oberosler entrò nell’aula chiacchierando con Alice. A un tratto i due si fermarono e la ragazza indicò Franz. Oberosler sorrise, e Franz ricambiò l’attenzione con un gesto di saluto. Quando Alice lo raggiunse il silenzio si era impossessato dell’aula. In ogni caso, c’era poco da spiegare. Oberosler le aveva chiesto come andavano le cose con Franz.


− Bene, è uno che sa ascoltare − aveva risposto − e poi mi piace come ragiona. È concreto e ha il raro dono della sintesi. Cose così, carinerie ascoltate da qualche parte e ripetute per darsi un tono.


Oberosler si accomodò alla cattedra.


− Ascolta Marco, e ascoltate anche voi − la sua voce cartavetrata rimosse le chiacchiere. − Agostino non è tra i tuoi filosofi preferiti, vero?


− In realtà mi suscita sentimenti opposti: trovo straordinario il suo approccio all’esistenza, ma insopportabili le conclusioni a cui giunge. Sia chiaro, non ce l’ho con lui: è che mi danno fastidio quei filosofi che usano la ragione per difendere la fede. Non ha senso. La fede è uno stato d’animo, un’emozione, un racconto. Se ne dovrebbe occupare la letteratura, che c’entra la filosofia? Per chi trova se stesso, Dio è superfluo. Le religioni non sono altro che forme di pazzia collettiva.


− Certo, certo. Lo sapevo. Sei la persona giusta per dialogare con me oggi. Vai con la prima domanda.


− Allora inizio con una provocazione.

Perché Agostino?

Oberosler osservò con curiosità lo schermo.

− Grazie. Parliamo di Agostino perché è il fondatore della filosofia cristiana. Guarda, Marco, che la cultura occidentale in cui siamo immersi nasce dall’incontro della filosofia greca con il cristianesimo. La filosofia cristiana sarà anche una filosofia che non ti piace, ma è filosofia, non letteratura emozionale, e nel momento in cui si occupa della rivelazione diventa teologia.


− E chi l’ha deciso?

− La storia. Ascolta: Gesù aveva predicato la buona novella, ma che cosa sarebbe rimasto del suo messaggio se Paolo non avesse dato alla Chiesa un respiro universale? E come avrebbe potuto la Chiesa attraversare i secoli se Agostino non fosse riuscito a conciliare il messaggio evangelico con la filosofia greca? “Credo perché è assurdo”, diceva Tertulliano, uno scrittore cristiano dei primi secoli, per esaltare la peculiarità della fede. Ma “assurdo” non significa “stupido”.


− Non volevo dire questo.

− In ogni caso, le verità di fede presenti nel Vangelo sono sicuramente irrazionali, dalla nascita di Gesù a opera dello Spirito Santo alla sua morte e risurrezione. Ebbene, Agostino, senza intaccarne il mistero, dà loro una cornice razionale rendendole così credibili. Per intenderci, i cristiani oggi credono nel messaggio evangelico, certo, ma le parole di Gesù sono racchiuse come in uno scrigno all’interno di una filosofia che ha in Agostino il suo geniale inventore. È lui che riassume la riflessione dei padri della Chiesa, coloro che gettarono le fondamenta dell’edificio dottrinale cristiano. È lui che dà a temi come la creazione, il peccato originale, la Trinità, la grazia e i sacramenti quella spiegazione che fa del cristianesimo la religione che noi conosciamo. Può bastare?


Il viso di Marco s’increspò in una smorfia.

− Ma…

− Ci sono ancora tanti “ma” che aspettano di essere chiariti. Prima, però, dobbiamo fare un po’ di strada con i mocassini di Agostino. Ricordi il detto degli indiani Sioux?


− Certo.

− E allora partiamo dall’inizio.

Chi era Agostino?

− Agostino era un africano di etnia berbera. Di carnagione tendente al bruno, aveva probabilmente i capelli crespi, sebbene ai medievali piacerà raffigurarlo talvolta di un pallore nordico. Fu l’Africa e non Roma, infatti, la culla della filosofia cristiana.


Agostino nacque nel 354 a Tagaste (l’attuale Souk Ahras, in Algeria), importante centro della Numidia, regione conquistata dai Romani con la seconda guerra punica. La madre, Monica, era cristiana. Invece il padre, Patrizio, si convertirà al cristianesimo solo in punto di morte. Il latino era dunque la lingua di casa, e latini furono gli autori più amati in gioventù da Agostino: Cicerone, Virgilio, Sallustio e Terenzio.


Nel 371, Agostino si trasferì a Cartagine per studiare retorica. Aveva diciassette anni e un obiettivo: divertirsi. Ce lo racconta lui, senza pudori.


Giunsi a Cartagine, e dovunque intorno a me rombava la voragine degli amori peccaminosi. Non amavo ancora, ma amavo di amare. Amare ed essere amato mi riusciva più dolce se potevo godere anche del corpo della persona amata.


− Nel 372, diciottenne dunque, Agostino iniziò la convivenza con una ragazza da cui ebbe un figlio, Adeodato (“Dato da Dio”). Non fu un’avventura: la convivenza durò per quindici anni.


A diciannove anni, quando divenne padre, Agostino scoprì la filosofia grazie alla lettura dell’Ortensio, un dialogo di Cicerone andato perduto. Da allora, la filosofia fu al centro dei suoi pensieri.


Intanto il cristianesimo, sotto l’influenza della madre, incominciava a incuriosirlo. Lesse così la Bibbia, che però lo lasciò deluso per l’oscurità del testo e la scarsa qualità letteraria, se paragonata a quella dei classici latini.


La confusione morale del giovane Agostino è ben riassunta da questa preghiera riportata nelle Confessioni:


Signore dammi la castità ma non subito.


− Che tipo, Agostino − commentò sottovoce Franz. – Tutta questa antipatia di Marco mi sembra senza senso.

− Il fatto è che Marco non ha sensibilità religiosa.

− Se è per questo nemmeno io.

− Allora anche tu non hai incontrato le persone giuste.

− Perché, tu chi hai incontrato?

− Don Vincenzo.


− E chi è?

− Il mio parroco. Ma non ti confondere. Non c’entrano le parole; per quanto mi riguarda, il primo indizio dell’esistenza di Dio è stato il suo sorriso trasparente.

− Sarà…

− Vedi Franz, la fede è un fuoco che arde e protegge dal gelo dell’esistenza. Prova a leggere le Sacre Scritture, quello che Dio ci ha raccontato di sé, a frequentare la comunità dei credenti, a vivere quello che man mano comprendi. E sentirai il calore della fede.


− Grazie don Vincenzo…

− Non mi prendere in giro!

− Okay… E la sofferenza, come te la spieghi?

− Non me la spiego e non la spiega neanche il Vangelo. Cristo l’ha vissuta sulla propria pelle, è morto in croce per salvare l’umanità, ma non ne ha parlato. I cristiani danno senso alla sofferenza, sanno che cosa farne unendola alla sua, ma al perché un bambino nasca, soffra e muoia o al perché io abbia il cancro non c’è spiegazione. Ne ho discusso a lungo con don Vincenzo. La sofferenza è un cono d’ombra anche per chi crede.


− Per questo ti sei rivolta alla filosofia?

− Sì, Dio mi ha dato la ragione per usarla, e io la uso. La fede è nel cuore, ma voglio che raggiunga la testa a costo di rompermela.

− Per me invece Dio non esiste; è solo un’allucinazione.

− Don Vincenzo ama dire che noi siamo il mosaico delle persone che abbiamo incontrato. E tu ne devi avere incontrate di scarse…

− Come te, Alice?

− Dai, Franz… a me Agostino è sempre piaciuto.

− Perché?

− Ho letto per conto mio le Confessioni e sono rimasta stupita.

− Da che cosa?

− Avverti che per lui la fede è qualcosa di spontaneo, una musica che echeggia nel cuore. E poi era un inquieto come me. Ora però basta. Ascoltiamo.


− Negli anni giovanili, Agostino venne attratto dal manicheismo, una religione che prendeva il nome dal principe persiano Mani, vissuto in Persia nel III secolo d.C., e che mescolava varie credenze, compreso il cristianesimo.

− E che cosa sosteneva il manicheismo?

− L’esistenza nel mondo di due princìpi contrapposti, il Bene e il Male, impegnati in una eterna lotta. Il Bene, come la luce, illumina il mondo e lo vivifica, mentre il Male, come le tenebre, è presente nel mondo in quanto materia bruta. L’uomo è dunque chiamato a partecipare a questa lotta svalutando tutti gli aspetti materiali della vita umana, compresa la procreazione.


− Per quanto tempo Agostino ebbe a che fare con i manichei?

− Li frequentò per una decina d’anni come uditore. Convivendo però con una donna, non poté accedere al grado superiore dei “perfetti”. Nel frattempo fece una brillante carriera come retore, insegnando prima in Africa e poi, a partire dal 383, a Roma, dove approfondì lo studio dello scetticismo senza però apprezzarlo.


− Per quale ragione?

− Se dubito di tutto – osserva Agostino − so una cosa: che sto dubitando, e non potrei dubitare se non sapessi che esiste la verità. Inoltre, se temo di ingannarmi allora so di esistere, perché solo chi esiste può dubitare e anche essere ingannato.


− In pratica, quello che dirà Cartesio.

− Certo. Nel 384 Agostino raggiunse l’apice della sua carriera con la nomina a professore di retorica alla corte imperiale di Milano. Fu in quel periodo che scoprì Plotino e lesse i pochi testi di Platone allora disponibili in traduzione latina.


− Di Plotino non abbiamo ancora parlato.

− Allora questa è l’occasione giusta. Plotino aveva proseguito la ricerca di Platone sul Bene, definito anche l’Uno, in quanto l’attività dell’Uno è il Bene. Per Plotino, l’Uno è del tutto impensabile in quanto si tratta di un “essere infinito”. Convinzione del tutto inaccettabile per la mentalità greca: da Parmenide a Platone, infatti, la perfezione, non mancando di nulla, coincide con il finito, non con l’infinito.


− Posso fare una domanda?

− Certo.


Se il mondo ha avuto origine dall’Uno, come si spiega la molteplicità che lo caratterizza?


− Secondo Plotino, il mondo deriva dall’Uno grazie a un processo di emanazione simile a quello del Sole, i cui raggi perdono d’intensità man mano che se ne allontanano. Esempi analoghi sono quelli del fuoco che emana calore, o della sorgente da cui scaturiscono le acque, o della sostanza odorosa che emana profumo.


L’anima, dunque, non può che avvertire una vera e propria nostalgia per l’Uno da cui proviene, proprio come Ulisse che vaga per il mondo subendo il fascino di mille sirene, ma ciò che in realtà più intimamente desidera è tornare al proprio paese.


Tuttavia, affinché l’anima possa intraprendere il percorso che la porta a ricongiungersi con l’Uno, deve rinunciare a tutte le cose. A quel punto si aprono di fronte a lei tre vie: quella estetica dell’arte, quella etica dell’amore e quella intellettuale della filosofia.


Come per Platone, queste vie corrispondono ai tre ideali per cui merita vivere: il Bello, il Bene e il Vero. Considerazioni che affascinarono enormemente Agostino.


− Ma allora che cosa lo spinse a convertirsi al cristianesimo? Aveva scoperto Plotino, che cosa gli mancava?

− Ora ci arrivo. A Milano Agostino ebbe modo di ascoltare le omelie del vescovo Ambrogio, la cui eleganza nel parlare e nello scrivere offriva l’esempio di un cristianesimo retoricamente perfetto. Inoltre, Ambrogio proponeva una lettura allegorica delle Scritture, ovvero per simboli e immagini, scelta che rendeva comprensibili e coerenti molti passi altrimenti oscuri.


Nelle Confessioni Agostino racconta con grande intensità come nacque in lui l’esigenza di cambiare stile di vita, lasciando innanzitutto la donna con cui conviveva. Mentre poi riposava nel giardino della sua casa di Milano, la cantilena di un bambino che ripeteva “prendi e leggi” lo spinge ad aprire il “libro dell’Apostolo Paolo”. S’imbatte così, casualmente, in questa frase tratta dalla Lettera ai Romani:


Non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze,
non fra impurità e licenze,
non in contese e gelosie.
Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo
e non seguite la carne nei suoi desideri.


− Una folgorazione. Agostino avverte che queste parole sono dirette a lui. I mesi seguenti li passa a riflettere; poi, nella notte tra il 24 e il 25 aprile del 387, insieme al figlio Adeodato, riceve il battesimo dalle mani di Ambrogio. Ora la sua vita ha uno scopo.


Tutto sembrava procedere per il meglio, quando a Ostia, presso Roma, mentre attendeva di imbarcarsi, la madre morì.


In Africa Agostino si stabilì a Tagaste, dove condusse vita monastica e dove nel 389 morì il figlio Adeodato. A Ippona, nel 391, conobbe il vescovo Valerio, che lo ordinò sacerdote e qualche anno dopo lo consacrò vescovo coadiutore. Così, alla morte di Valerio, Agostino divenne vescovo di Ippona a pieno titolo.


Morì nel 430, mentre i Vandali assediavano Ippona. Aveva settantasei anni. L’anno successivo, la città venne conquistata e distrutta. Le opere di Agostino si salvarono grazie al discepolo Possidio, che dovette trovare l’impresa alquanto faticosa, se scrisse: “Tanti sono i suoi scritti dettati e pubblicati, tante le prediche in chiesa trascritte e poi corrette che difficilmente uno studioso riuscirebbe a leggerli e a conoscerli tutti”.


− Posso inserire sullo schermo una domanda non prevista? − Marco aveva assunto un’aria professionale.

− Certo.

− Sono curioso di ascoltare la sua risposta. Per quanto ne so, nessuno è mai riuscito a darne una convincente.


Come mai Agostino non racconta nulla della sua compagna, la donna della sua vita?


− Perché non era la donna della sua vita. Lo era invece Monica, sua madre, la cui anima era in straordinaria sintonia con quella di Agostino. Qualche tempo dopo la sua morte, così descrive il loro legame:


Avendo adesso perduto il grande conforto che trovavo in lei, la mia anima fu ferita e la mia vita lacerata, perché la mia vita era stata tutt’uno con la sua.


− Eppure per certi aspetti Agostino era l’antitesi della madre: tormentata la fede di Agostino, salda e serena quella di Monica, tanto che il loro non fu sempre un rapporto idilliaco. Per esempio, quando nel 383 Agostino decise di recarsi a Roma, la madre si oppose con forza. Agostino, allora, con uno stratagemma la allontanò dal porto e partì lo stesso. Monica lo raggiungerà poi a Milano quasi due anni dopo, nel 385.


Nonostante momenti di conflittualità come questo, indice della presenza piuttosto ingombrante di Monica nella vita del figlio, il loro legame fu talmente forte da oscurare ogni altro rapporto. Per questo della sua compagna non dice neppure il nome, mentre la madre è addirittura protagonista di numerosi suoi dialoghi.


− Sì, però…

− Ancora una cosa. Monica fu per Agostino non solo madre, ma anche amica ed esempio di santità. Con lei ebbe addirittura un’estasi; un evento già di per sé assai raro, ancora più raro se vissuto con un’altra persona.


− Che cosa accadde esattamente?

− A Ostia, mentre conversavano, si immersero talmente nel mistero di Dio da esserne travolti. Questa era la donna della sua vita.

− Posso essere sincero, professore?

− Certo.


− La madre era la donna della sua vita, okay, ma la compagna gli aveva dato un figlio, e di lei non ci dice neanche il nome. Le sembra normale?


− Quando uno si vergogna di qualcosa, che fa? Non ne parla. Ed è quello che fa lui. Quella donna era il simbolo dei suoi peccati, intesi come tutto ciò che avrebbe voluto non aver mai fatto. Non citarla era un modo per dire che la colpa era solo sua. Non riesco a immaginare un’altra ragione positiva. Per le negative c’è solo l’imbarazzo della scelta. Fate voi: disprezzo delle donne (e allora perché esalta la madre?), superficialità (proprio lui?), dimenticanza (ma dai!). Si accettano suggerimenti.


Silenzio.

− Possiamo procedere, Marco?

− Certo. Se non sbaglio, professore, siamo arrivati filosoficamente alla questione delle questioni, quella in cui tutte le questioni religiose s’aggrovigliano.


− Giusto.

Alice prese la mano di Franz e la strinse cercando di trattenerne il calore.

Fede e ragione non sono in contrasto?

− Quando scrive le Confessioni, Agostino ha quarant’anni. Si sente arrivato in porto, nel senso che ha raggiunto quello che aveva ricercato in modo più o meno cosciente tutta la vita, Dio. A quel punto, ripensando a quanto gli era successo, comprende che in realtà non è stato lui a cercare Dio, ma Dio a cercare lui. Nell’invocazione a Dio, con cui iniziano le Confessioni, troviamo questa frase:


Tu ci hai fatti per Te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te.


− L’esperienza della conversione ha convinto Agostino che la ragione ha bisogno della fede, e che la fede non può fare a meno della ragione: in breve, fede e ragione non solo possono convivere, ma sono complementari perché la verità è soltanto una. Convinzione che viene sintetizzata da Agostino nella duplice formula:


Credi per comprendere, comprendi per credere.


− Nessuno manda il proprio figlio a scuola perché impari quello che pensa il maestro, ma perché apprenda correttamente la verità delle cose che il maestro insegna. Abbiamo dunque un maestro, la verità stessa che è in noi; inutile andare a cercarla altrove.


Non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: nell’interno dell’uomo abita la verità.


− D’accordo professore, la fede aiuta la ragione e la ragione aiuta la fede. Ma com’è possibile che Dio sia uno e nel contempo trino? Come fa Agostino a rendere accettabile una tale assurdità?


− Anche per Agostino siamo di fronte a un immenso mistero, che la mente umana non è in grado di comprendere. La ragione però può formulare delle congetture che ci aiutano a credere. Dio è, e poiché tutto proviene dall’Essere, è padre. Padre è colui che genera, e Dio genera il Figlio che dice di sé “Io sono la Verità”. Padre e Figlio sono poi uniti dall’Amore, che essendo divino è anch’esso persona: lo Spirito Santo.


− E l’uomo chi è? Come lo descrive Agostino?

L’uomo è in “minuscolo” ciò che Dio è in “maiuscolo”.

Come Dio, anche l’uomo è, pensa e ama. L’uomo è fatto a “immagine e somiglianza” di Dio, poiché ne riproduce la struttura trinitaria. Per questo l’uomo ricerca Dio ed è inquieto finché non lo trova.


Dio però si rivela come verità solo a chi cerca la Verità, con la maiuscola, ma per cercare la Verità occorre amarla, perché è Amore. Ne consegue che chi ama se stesso, e non Dio, non ama se stesso; mentre chi ama Dio e non se stesso, ama davvero se stesso.


− Nella Bibbia, professore, si racconta che Dio creò il mondo in sei giorni e che il settimo giorno si riposò. Ma com’è possibile che sia capitata una cosa del genere? Come si fa a immaginare un Dio che dice: mi sento solo e sai che faccio? Creo il mondo, non adesso però, domani mattina.


− Che il problema fosse assai spinoso, lo avevano capito anche gli intellettuali dell’epoca, tanto che erano soliti prendere in giro i cristiani chiedendo loro:


Cosa faceva Dio prima di fare il cielo e la terra?


A questa provocazione, Agostino risponde innanzitutto con una battuta:


Preparava l’inferno per chi scruta i misteri profondi.


Poi elabora una teoria a dir poco rivoluzionaria. Anticipando Einstein, Agostino giunge a comprendere che il tempo non esiste, è soltanto una dimensione relativa. E, anticipando Kant, spiega: il tempo è una dimensione relativa all’anima umana, il nostro modo di metterci in relazione con il mondo.


− E Dio, che rapporto ha con il tempo?

− Nessuno, Dio non vive nel tempo. Come potrebbe infatti esserci in Dio un prima e un dopo? Se così fosse, Dio mancherebbe sempre di qualcosa, sarebbe imperfetto. Non ha senso, dunque, chiedersi che cosa facesse Dio prima della creazione del mondo, perché Dio è l’eterno presente.


− In conclusione?

− Qui arriva la zampata del genio.


Cos’è dunque il tempo?
Se nessuno m’interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so.


Un paradosso che nel Novecento farà dire a Bertrand Russell: Agostino ha detto tutto quello che si può dire del tempo, altro non si può aggiungere. Considerazione che possiamo estendere anche ad altre sue intuizioni.


Questo è Agostino: un gigante della filosofia che per vastità dei temi trattati, profondità di analisi e influenza sulla cultura occidentale non teme il confronto con Platone e Aristotele.


Oberosler rimase un attimo in silenzio, quasi imbarazzato dall’eco delle sue parole. Nessuno si mosse. Poi con voce affaticata dal lungo parlare aggiunse:


Chi cerca la verità, cerca Dio.


− In questa frase c’è tutto Agostino. A me mette in crisi.

Alice incrociò gli occhi sinceri di Oberosler, che rispose al suo cenno di condivisione con un “bene”. Di nulla si accorse Marco, preso com’era dall’arruffarsi i capelli già arruffati per conto loro.

Il rasoio di Ockham
Il rasoio di Ockham
LA STORIA DELLA FILOSOFIA IN UN ROMANZO