capitolo 29

Hegel

Chi guarda il mondo con gli occhi della ragione ne è ricambiato con lo stesso sguardo.

Non c’è gioia più grande. L’attesa di un figlio scatena l’immaginazione, madre dell’ottimismo; e dall’ottimismo al delirio il passo è breve: “Sarà lui il Messia?”, si chiedeva Alice raggiunto il settimo cielo, quello in cui il dolore si tinge di gioia.


Ora tutto aveva un senso: la magia del bacio con Franz, l’insulto del cancro, la lotta contro il tempo per abbracciare l’eternità. Insomma, “l’astuzia della ragione” ci sapeva fare, per usare un guizzo espressivo di Hegel, il più ottimista tra i filosofi, e quindi anche il più a rischio di delirio.


L’aula era affollata. Alice stava ancora vagando alla ricerca di un posto, quando Oberosler incominciò a parlare.


− Hegel l’antipatico: osannato, criticato, disprezzato, infine dimenticato. Oggi Hegel non gode di buona stampa. Eppure è impossibile comprendere la filosofia contemporanea senza fare i conti con lui.


Oberosler s’interruppe per dare tempo ai suoi occhi colmi di ammirazione per Hegel di incrociare quelli dei presenti.


− Forse non mi sono spiegato bene. Lo dico con un’immagine: la filosofia contemporanea è una radio che trasmette sulle frequenze del pensiero di Hegel.


Turbato da quelle parole, un moscone decise di andarsi a schiantare contro il vetro di una finestra.


− Ci tenevo molto a parlarvi di Hegel − riprese Oberosler. − L’antipatia non è un buon modo per valutare il pensiero di un filosofo. E poiché l’opinione pubblica mal sopporta Hegel, procederò in modo insolito.


Ormai era tardi per cercare di infilarsi in qualche posto rimasto libero in mezzo all’aula. Ad Alice non rimaneva che stare in piedi. Si appoggiò al muro, ma senza rilassatezza, nel senso che protese il capo in avanti, come se si sporgesse da una scogliera per ascoltare meglio il mare.

Prima la difesa.

− “Chi guarda il mondo con gli occhi della ragione ne è ricambiato con lo stesso sguardo”, scrive Hegel. Aver amato ed essere stato riamato dalla ragione, questo dava fastidio. Hegel ha voluto entrare nella testa di Dio e guardare il mondo con i suoi occhi. Un tentativo insopportabile, una follia. Vedere il mondo con gli occhi di Dio: ma non è proprio questa l’ambizione che ogni filosofo dovrebbe avere? La filosofia di Hegel è una magnifica cattedrale gotica immersa nella nebbia, si dice. Meglio allora respingerla in toto o travisarla. È questo l’atteggiamento davvero insopportabile. Non il tentativo di Hegel.


Nella pausa che seguì, Oberosler notò Alice in piedi in fondo all’aula.


− Signorina, venga qui, c’è tanto posto al mio tavolo.

Rilassatezza generale, e imbarazzo di Alice.

− Grazie professore, va bene così.

− No, mi perdoni se insisto, ho bisogno che mi dia una mano. Magari dialogando, Hegel risulta meno indigesto. Le va?

− Certo… se crede.


Per un attimo Alice desiderò che l’intero universo collassasse. Ma come poteva rifiutarsi? Raggiunta la cattedra si sedette accanto a un ispirato Oberosler.

Ora la spiegazione.

− Kant, osserva Hegel, ha ricevuto grandi applausi per aver sostenuto la necessità di definire la conoscenza prima di iniziare a conoscere. Una pretesa tanto ovvia quanto assurda:


È come cercare di imparare a nuotare prima di entrare nell’acqua.


− Per Kant la conoscenza è un’isola circondata da un vasto mare. Possiamo perlustrare quest’isola in lungo e in largo quanto ci pare, ma tutto deve finire lì. Chi si avventura in mare aperto può solo venire travolto dalle onde contraddittorie della metafisica. Chi ha mai visto l’Essere? E allora che senso ha parlarne? Banale, per non dire sciocco, il ragionamento di Kant secondo Hegel.


Distratta dall’irrequietezza delle mani di Oberosler, Alice faceva fatica a dar ragione a Hegel.


− Ma come possiamo, professore, sapere se quello che diciamo è vero o falso? A me sembra che il ragionamento di Kant scorra liscio. Non abbiamo gli strumenti per avventurarci nel mare aperto della conoscenza. Tutto qui.


− E invece no, Alice. Secondo Hegel questi strumenti li abbiamo per una semplice ragione: anche noi siamo il mare. Proprio così, noi siamo reali esattamente come la realtà che ci circonda. Siamo cioè la stessa cosa.


− E le contraddizioni?

− Nessun problema: sono il modo d’essere della realtà, così come le onde lo sono del mare. La realtà senza contraddizioni è un mare fermo. Non esiste. Dunque non ha alcun senso erigere un muro invalicabile come fa Kant tra ciò che appare (il fenomeno) e ciò che c’è davvero (il noùmeno).

Il reale è razionale, e il razionale è reale.

− Memorizzate questa frase: è la prima password che ci permette di entrare nel sistema filosofico di Hegel. Se ragioni, questo significa, capisci il mondo, perché il mondo è razionale proprio come il tuo pensiero. Una bella semplificazione, non vi pare?

La seconda password è invece racchiusa in quest’altra frase:


Il finito in quanto reale è infinito.


− Ovvero, ogni cosa esiste perché è legata a un’altra. Pensateci: esiste una foglia senza l’albero che lo genera, e l’albero senza la terra che lo nutre, e la terra senza il sole che la illumina, e il sole senza l’universo infinito che lo contiene? Questo ci vuole dire Hegel quando afferma che il finito, se è reale, allora è infinito. Un’altra bella semplificazione. E così i due grandi limiti della conoscenza individuati da Kant, le contraddizioni e l’infinito, vengono annullati: non esistono per Hegel. Per dirla con una battuta, la filosofia di Kant è un punto interrogativo che apre una discussione, quella di Hegel un punto esclamativo che la chiude.


− In pratica ci sta dicendo, professore, che Hegel scioglie con l’accetta i nodi filosofici evidenziati da Kant?


− L’immagine non è di quelle care agli accademici, ma è così. Li recide di netto. Il che gli permette di risolvere il problema della conoscenza: Platone immagina che le idee si trovino nell’iperuranio, al di là del cielo, se vi ricordate, mentre per Hegel le idee, intese come strutture razionali, abitano tanto la nostra mente quanto il mondo. Se così non fosse le leggi di natura sarebbero solo delle invenzioni.

Tutto diviene.

− Lo diceva già Eraclito. Ma mentre per Eraclito la causa del divenire è il conflitto degli opposti, per Hegel la realtà è dominata da una dinamica più complessa, che chiama “dialettica”.


Alice sorrise con l’aria compiaciuta di chi ha qualcosa d’intelligente da dire. Lo sapeva, anzi lo sanno tutti, la dialettica hegeliana si articola in tre momenti:


Tesi, antitesi e sintesi.


Oberosler intercettò l’ammiccamento di Alice e respirò sonoramente.

− Che la dialettica hegeliana si articoli in “tesi”, “antitesi” e “sintesi” null’altro è che una fake new: Hegel non ha mai usato questi termini. E come per tutte le fake news c’è anche un autore: Heinrich Moritz Chalybäus, filosofo hegeliano, che nell’Ottocento s’inventò questa articolazione per rendere più abbordabile il pensiero di Hegel. Occorre tenerlo presente. Usiamo comunque questo strumento per entrare nel suo sistema filosofico, poi ne evidenzieremo i limiti.

Secondo lo schema inventato da Chalybäus, la dialettica è come un motore a tre tempi, gira cioè compiendo tre movimenti: il primo tempo, quello della tesi, è astratto, nel senso che la ragione sceglie i contenuti della conoscenza sradicandoli dalla realtà; il secondo tempo, quello dell’antitesi, è concreto: la ragione individua cioè le contraddizioni presenti nella tesi; infine il terzo tempo, quello della sintesi, concilia tesi e antitesi superandone i limiti. Così funziona la realtà, così funziona la conoscenza.


Facciamo un esempio.

Tesi: la ragione comprende che il concetto di vita è opposto

a quello di morte. Antitesi: poi si rende conto che non ci sarebbe vita senza la morte. Sintesi: infine, capisce che la vita e la morte sono il modo con cui la realtà diviene.

Un altro esempio.

− Cartesio descrive la realtà in modo razionale, ma astratto: tesi; alla sua visione si contrappone quella empirista, cioè concreta di Hume: antitesi; Kant comprende infine tanto i pregi quanto i limiti del razionalismo e dell’empirismo, li supera ed elabora la sua filosofia: sintesi. Ma la filosofia non termina con Kant. Da Kant parte una nuova filosofia, tesi, che dà origine a una nuova contrapposizione, antitesi, e infine a una nuova sintesi. E così di seguito.

− E allora, professore, andiamo al dunque.

Che cosa funziona e che cosa non funziona in questa rappresentazione della dialettica hegeliana?

− Funziona il fatto che descrive il divenire dialettico come una tromba d’aria che avanza fino a raggiungere il sapere assoluto, cioè il vero sapere. Non funziona invece il fatto che tesi, antitesi, sintesi fanno pensare a un processo in cui le contraddizioni sono sempre vere, mentre non è così: le contraddizioni non sono sempre vere, altrimenti qualsiasi cosa che diciamo sarebbe vera, potremmo cioè affermare tutto e il contrario di tutto. Inoltre, in vari aspetti della filosofia di Hegel si trovano anche quattro o due elementi, non sempre tre. Non si può cioè torturare la ragione fino a farla “diventare macchina”, per usare un’espressione hegeliana. La realtà è molto più complicata di un motore a tre tempi. Da qui la sua prosa contorta, che lo rende oscuro, il più difficile tra i filosofi. Ma se la realtà è contorta, come può il linguaggio descriverla se non contorcendosi?


− Anche quando parla dell’uomo Hegel è contorto?

− Sì, ma non nel caso della definizione.


L’uomo è quell’animale che dà un significato alla propria esistenza.


− Assaporate queste parole. Fatele riecheggiare nella vostra mente fino a coglierne la grandiosità. Inorgoglitevi. è la più bella definizione di uomo di tutti i tempi, non vi pare?

Nel silenzio che seguì, per la prima volta Alice sentì palpitare il cuore filosofico di Hegel.


− E in che modo, professore, l’uomo dà un significato alla propria esistenza?

− Esprimendosi nelle opere d’arte, celebrando i riti religiosi o costruendo dei sistemi filosofici. L’insieme di queste attività e delle riflessioni che le accompagnano è lo “spirito del mondo”.


− Che cosa significa? Il termine “spirito” ha in sé qualcosa di oscuro.

− Non facciamoci stordire dalle parole. Lo spirito del mondo è il modo di pensare dell’umanità che si evolve nel tempo; la forza razionale che anima il mondo, potremmo anche dire.


− Ho capito. Ma in pratica come agisce questa forza razionale?

− La storia dello spirito del mondo viene raccontata da Hegel prima in modo romanzato nella Fenomenologia dello spirito; poi spiegata in modo scientifico nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche, le sue due opere principali.

− Due opere che dicono la stessa cosa con stili diversi: ho capito bene?

− Vero, proprio così.

− E in che modo Hegel riesce a trasformare un ragionamento filosofico in un romanzo?

− Come in tutti i romanzi, anche nella Fenomenologia dello spirito c’è un protagonista e una storia. Il protagonista è assai originale: si tratta di una serie di visioni del mondo che Hegel chiama “figure dello spirito”. Tra queste, quella del rapporto servo-padrone è forse la più nota.


In principio, lo spirito, pensiamo a un bambino appena nato, non distingue sé dalle cose e dagli altri. Poi lo comprende, e allora litiga con i suoi amichetti: “Questo è mio; no, è mio!”. Qualche cosa di simile è capitata all’umanità ai suoi albori con il verificarsi di uno scontro violentissimo per il possesso delle cose. Il vincitore dapprima uccide il suo avversario, poi si rende conto che se lo tiene in vita può sfruttarlo come servo. Ne diventa così il padrone.


− È la legge del più forte. Normale.

− Normale fino a un certo punto, perché il rapporto servo-padrone si fonda su un inganno: non esiste infatti il padrone, esiste solo il servo, nel senso che il padrone è padrone finché il servo si sente servo. Nel momento in cui, però, il servo si ribella al padrone e scopre la libertà, il padrone cessa di essere padrone.


− Insomma, è una questione psicologica. Grande Hegel.

Oberosler annuì compiaciuto.


− Fateci caso, quello che vuol dire Hegel vale per qualsiasi autorità. Prendiamo le leggi: non sono valide perché hanno in sé qualcosa di particolare, ma perché la gente le ritiene valide. E potremmo andare avanti all’infinito per dire sempre la stessa cosa: l’autorità si fonda su chi la subisce, non su chi la esercita. Come potete immaginare, una tesi capace di infiammare qualsiasi animo rivoluzionario.


− Mi sembra di sentire riecheggiare il modo di procedere di Freud.

− Sarebbe più corretto dire che il modo di procedere di Freud affonda le sue radici in Hegel. Ne è dimostrazione un’altra celebre figura dello spirito, quella della “coscienza infelice”, tipica dell’età medievale. Questa situazione si verifica nel momento in cui la coscienza avverte che Dio è completamente altro da sé. Allora si prostra a terra e con sgomento dice: “Signore, tu sei tutto, io sono niente”.


Per ovviare a questa contrapposizione, la coscienza si rifugia nell’ascetismo, con pratiche che vanno dal digiuno all’autoflagellazione. Ecco quindi comparire quelle che gli storici chiamano le “sante anoressiche”, donne che nel Medioevo hanno represso le esigenze del loro corpo finito per essere degne di un Dio infinito.


Una strada, questa, che non conduce da nessuna parte. La coscienza continuerà a sentirsi infelice fino a quando non comprenderà che la contrapposizione è dentro di sé: non c’è infatti un Dio infinito al di fuori dell’uomo finito, un “Dio tutto” e un “uomo niente”, perché l’uomo e Dio sono la stessa cosa. Coincidono cioè nella realtà che è razionale e nel razionale che è reale, così come nel finito che in quanto reale è infinito.


Se si comprende questo, allora si è giunti a quella conoscenza stabile e corretta che Hegel chiama “sapere assoluto”: la vera filosofia.


Il romanzo della coscienza raccontato nella Fenomenologia dello spirito ha dunque un lieto fine. Ora siamo in grado di avventurarci nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche, l’intricato labirinto di Hegel di cui cercheremo di comprendere il senso complessivo.


− Professore, prima di proseguire ci potrebbe dire qualcosa della vita di Hegel? Sono curiosa.

− Okay, così alleggeriamo un po’ la spiegazione, anche se non c’è molto da raccontare. Hegel ebbe una vita tranquilla, da professore. Primo di tre fratelli, nacque a Stoccarda il 27 agosto 1770.


Il padre era un funzionario del ducato del Württemberg. A sette anni Hegel entrò nel Gymnasium Illustre di Stoccarda, dove studiò in maniera piuttosto approfondita il Vecchio e il Nuovo Testamento, le lingue e le letterature classiche. Inutile aggiungere che fu uno studente diligente. Nel 1788 Hegel si iscrisse all’Università di Tubinga. In questo periodo si entusiasmò per la Rivoluzione francese.


− Che tipo era?

− Le fonti ce lo descrivono come un ragazzo simpatico che amava giocare, soprattutto a scacchi e a carte. Prima ancora di completare gli studi universitari, fece il precettore presso una famiglia di nobili svizzeri, i Von Steiger. Dopo di che si trasferì a Jena, poi a Heidelberg, cuore del romanticismo tedesco, infine a Norimberga, dove conobbe Maria von Tucher, che sposò nel 1811: dal matrimonio nacquero due figli, Immanuel e Karl.


Hegel raggiunse l’apice della sua carriera alla fine del 1829, quando fu eletto rettore dell’università di Berlino. La morte lo colse all’improvviso, probabilmente a causa del colera, il 14 novembre del 1831. Aveva sessantun’anni..


− Ora, professore, se crede può procedere…

Risate.

− No, basta così.


Seguirono applausi di ringraziamento per la lezione, ma anche di ritrovata leggerezza. Comprendere Hegel nel momento in cui per la prima volta si mette piede in quella magnifica cattedrale gotica che è il suo pensiero, è un po’ come sperare in un acquazzone rinfrescante nel bel mezzo del Sahara. Tempo, ci vuole tempo per interiorizzare i suoi ricami. La filosofia ha i suoi tempi di sedimentazione.


Mormorio generale.


− Ancora una cosa. Per prepararvi al prossimo incontro, vi suggerisco di recarvi nel luogo più hegeliano di Torino.


Laddove più forte soffia il vento della filosofia.

Il rasoio di Ockham
Il rasoio di Ockham
LA STORIA DELLA FILOSOFIA IN UN ROMANZO