capitolo 34

Marx

Non si vede il bosco per colpa degli alberi.

Detto sommessamente, mi viene da ridere quando qualcuno dice che “la filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale tutto rimane tale e quale”.


L’esordio di Oberosler non poteva essere più ironico.


− Eppure nel Novecento il marxismo ha sconvolto il mondo. E Marx non sarebbe esistito senza Hegel, ed Hegel senza Kant, e Kant senza Hume e giù giù fino a Platone con la sua Repubblica alla cui fonte − stando a Karl Popper − si sono abbeverati i regimi totalitari, in particolare il nazismo e lo stalinismo. Basta dunque con la retorica della filosofia come qualcosa da anime belle che si occupano dell’ombra del vento. La filosofia è dinamite pura, un materiale da maneggiare con cura.


Oggi parleremo di Marx con due esperti: Arturo Todisco − autore del saggio La rivincita di Marx, un grande classico − e Saverio Varuno, che da poco ha dato alle stampe Uno spettro si aggira per il web. L’intento è di rispondere al quesito:


Marx è vivo?


− Ad aiutare il professor Todisco ci sarà Valentina, che lo incalzerà con le domande; invece il professor Varuno se la vedrà con Franz. Dov’è Franz?

Di Franz nessuna notizia.


Il Teatro Baretti, dove si svolgeva il dibattito su Marx, si trovava nel cuore di San Salvario, il quartiere più multietnico di Torino. Il dibattito faceva parte di un ciclo di conferenze dedicato al rapporto filosofia-politica. Non si poteva trovare un contesto migliore per parlare di Marx.


Una filosofia è buona se risponde a una necessità. Piegato alle più disparate situazioni, Marx ha accontentato tutti: abbiamo il marxismo russo, cinese, africano, vietnamita, cambogiano, cubano eccetera. Scegliete un paese e troverete un Marx diverso. Non c’è una filosofia più multietnica della sua.


Franz ci teneva a fare bella figura. Tutto concentrato sul pensiero di Marx, si era però dimenticato di scendere dalla metropolitana alla fermata giusta, non Porta Nuova ma Corso Marconi.


Ora era in ritardo.


Come tutti quelli che desiderano piacere a qualcuno (ne sanno qualcosa gli innamorati), Franz viveva nella paura. Prima o poi Oberosler avrebbe scoperto qualche suo limite, e allora che cosa sarebbe successo? Come accade nel domino, crollata una tessera sarebbero cadute tutte le altre.


Franz deglutì. Quello di cui aveva paura era già capitato. Oberosler avrebbe potuto elencare i suoi limiti con la stessa scioltezza con cui una suora sgranava il rosario. Inutile agitarsi. La presa di coscienza ebbe l’effetto di un colpo di freni, e la corsa si trasformò in una passeggiata.


− Franz? Qualcuno ha visto Franz? Strano − mormorò Oberosler. − Gli avevo detto di prepararsi a interloquire su Marx. Okay, lo sostituirà Marco. Allora professor Todisco, a lei affido il compito di presentarci la pars construens, come l’avrebbe chiamata Francesco Bacone: in pratica, il pensiero di Marx sotto una luce positiva.


− Grazie. Karl Marx nasce nel 1818 a Treviri, allora città della Prussia. Di famiglia ebraica, il padre si era convertito al protestantesimo per sfuggire alle misure antisemitiche del governo prussiano. Marx studiò filosofia e diritto nelle università di Bonn e Berlino, per poi concludere i suoi studi a Jena, laureandosi nel 1841 con una tesi sulla Differenza fra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro. Una tesi originale, trattandosi di due filosofi materialisti, se pensiamo che in quel periodo imperversava l’idealismo.


In ogni caso, anche il giovane Marx subì il fascino di Hegel. Lo criticò poi nella maturità, senza però mai tagliare il cordone ombelicale con lui. Metodo e terminologia rimasero hegeliani.


− Dove sbagliava Hegel, secondo Marx?


− A suo modo di vedere, Hegel aveva descritto l’uomo con la testa all’ingiù e le gambe all’insù.


− Che cosa significa?


− Che per Hegel la vita spirituale era il fondamento di quella materiale, mentre per lui era vero esattamente il contrario: la vita materiale era il fondamento di quella spirituale. Lo spirito, insomma, è un riflesso della vita materiale, e non viceversa.


− Grazie.

− A causa delle sue idee politiche, nel 1843 Marx fu costretto ad abbandonare il lavoro di giornalista alla Gazzetta renana e andò a vivere a Parigi, dove entrò in contatto con l’ambiente socialista, che radunava personalità di diversi paesi, ma soprattutto incontrò Engels, con il quale instaurò una duratura e proficua amicizia.


− Chi era Engels?

− Il figlio di un ricco industriale inglese che vide in Marx il genio da aiutare economicamente affinché si potesse dedicare ai suoi studi. Nel 1848 Marx ed Engels scrissero insieme il Manifesto del Partito Comunista, in cui sostennero che il comunismo non era un ideale da raggiungere o un’utopia da realizzare, com’era di moda dire all’epoca, ma una nuova fase della civiltà umana, quella che ci sarebbe stata dopo il capitalismo. Con l’intento poi di dare un fondamento scientifico a questa tesi, Marx ed Engels scrissero Il Capitale, la loro opera principale.


Anche l’esistenza ha i suoi vuoti d’aria. Quando Franz vide Nadia all’angolo di via Saluzzo con via Baretti si sentì scosso da una violenta turbolenza. Dal momento in cui si erano lasciati, Nadia era diventata un istrice. Ricordarla pungeva il cuore.


Nadia l’aveva lasciato con quel messaggio in una tasca dei pantaloni: “Sei irrisolto, inconcludente e tendenzialmente rompicoglioni. Addio”. Come Alice, a ben vedere. Stili diversi, ma stessa modalità, pantaloni a parte. Curioso, no? Entrambe avevano scelto il silenzio digitale.


Nadia sembrava aspettare qualcuno. Meglio affrettarsi, un abbraccio e buona fortuna, per dire “non ci ho capito niente della nostra storia, ma va bene lo stesso”.


Più in là si intravedevano altre ragazze, tutte con quell’aria da aeroporto, lato arrivi, in attesa di qualche sconosciuto. Troppo tardi. Le si era avvicinato un cinquantenne con un completo trasandato da funzionario della Lehman Brothers con uno scatolone in mano.


Il dehors di un bar circondato da tristi alberelli era un invito a osservare la scena senza dare nell’occhio. Nadia entrò in un edificio anonimo seguita dal funzionario della Lehman Brothers. La cosa appariva più banale che strana. Bastava attendere per averne la conferma. Nessun problema. Era venuto il momento di fare una bella colazione. Lo yogurt ingurgitato a casa reclamava compagnia. Marx poteva attendere.


Todisco era uno di quei professori in cerca di guai filosofici, nel senso che amava affrontare le questioni complesse con domande semplici.

Che cosa significa vivere per Marx?

− Vivere significa lottare per il possesso delle cose. E come avviene in ogni scontro, alcuni vincono e altri perdono. Lo scontro però non è tra individui, ma tra gruppi sociali che Marx chiama “classi”. Per farla breve, cambiano le epoche e cambiano le situazioni (liberi contro schiavi, patrizi contro plebei, baroni contro servi della gleba, borghesi contro proletari), ma lo schema è sempre lo stesso: oppressori contro oppressi.


La storia di ogni società finora esistita è storia di lotte di classi.


− Sembra di sentire l’eco della dialettica di Hegel.

− Certo, come per Hegel anche per Marx la dialettica è il modo in cui la realtà diviene. Ma mentre la dialettica di Hegel è astratta, quella di Marx è concreta. Per dialettica intende infatti lo scontro di classi; così come dialettici sono i rapporti tra l’economia in cui avviene lo scontro tra le classi (struttura) e la cultura, le istituzioni, lo Stato (sovrastruttura).


− Com’è giunta al potere la borghesia?

− La borghesia ha svolto un ruolo rivoluzionario nell’età feudale, ha combattuto il dominio della nobiltà nell’età moderna, infine con la rivoluzione industriale nell’età contemporanea è giunta al potere. Al proletariato spetta ora il compito storico di rovesciarla.


− Quali critiche muove Marx al capitalismo?

− Tante critiche, a partire dal salario dato al proletario, che non corrisponde alla ricchezza da lui creata con il proprio lavoro.

− Per esempio?

− Per esempio un operaio costruisce un tavolo, ma non viene pagato in relazione al prezzo di vendita del tavolo: gli viene dato solo lo stretto necessario per vivere. La differenza tra il valore del lavoro e quello della merce, in questo caso il tavolo, si chiama plusvalore.


− A casa mia si chiama guadagno.

− Certo, tolto il costo del legno, dei macchinari eccetera, c’è il guadagno del capitalista: ma chi l’ha generato?

− L’operaio.

− Appunto. La ricchezza viene generata dal lavoro del proletario, ma se la gode il borghese.


La proprietà è un furto.


− Una frase incendiaria.

− Sicuro, ma per Marx non c’è un altro modo per descrivere quello che succede, perché le cose vanno chiamate con il loro nome. E non è tutto. Lo sviluppo del capitalismo farà sì che la ricchezza tenderà a concentrarsi sempre più in poche mani, mentre nel contempo peggioreranno le condizioni della classe operaia: le contraddizioni del capitalismo sono tali che alla fine scoppierà la rivoluzione. A quel punto, i borghesi reagiranno in tutti i modi. Per questo la rivoluzione sarà necessariamente violenta.


− E dopo che cosa succederà?

− Marx sostiene di non avere alcuna intenzione di “fornire ricette per la cucina del futuro”; non intende cioè descrivere una realtà che non esiste ancora. I riferimenti sono dunque pochissimi. In pratica, Marx immagina che dopo la rivoluzione ci sarà una fase di transizione che chiama “dittatura del proletariato”. È il momento in cui il proletariato smantella tutte le istituzioni della società borghese, abolisce la proprietà privata, collettivizza il sistema di produzione e accentra tutto nelle mani dello Stato. Terminata questa fase di transizione, lo Stato si dissolverà e si affermerà il comunismo.


− I beni verranno dunque distribuiti in parti uguali.

− No.

− Ma non è proprio questo che vuol dire comunismo?

− La distribuzione in parti uguali sarebbe una soluzione rozza e banale; il principio che verrà seguito sarà invece un altro:


Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni.


Non era invece rozza e banale la colazione di Franz: il croissant, croccante e delicato, ricordava quello che si mangia in Francia quando si è fortunati; del cappuccino nulla da dire, mentre la spremuta sapeva di arance che si erano abbronzate al sole di Sicilia.


Sogniamo cose impossibili, di quelle che quando le dici ti guardano con gli occhi storti.
E poi diamoci da fare per realizzarle.


Questi erano i versetti della personale Bibbia di Nadia che più le piacevano. Almeno nei primi tempi. Poi la droga aveva trasformato quelle cose impossibili in tragedia. E così il futuro le aveva voltato le spalle, e lei le aveva voltate a lui.


Alice e Nadia: entrambe si erano nascoste perché si vergognavano, avrebbe chiosato Oberosler. Nadia della vita che faceva, Alice va’ a sapere. Con Eleni invece le cose erano andate in maniera completamente diversa, e poi non poteva essere annoverata nella categoria delle ex. La pratica che la riguardava languiva nella cartella delle “rose che non colsi”.


Dal portone uscì il funzionario della Lehman Brothers con l’aria soddisfatta di chi ha trovato un nuovo impiego, e dopo un po’ anche Nadia. Raggiunte le altre ragazze, scambiate quattro parole, Nadia si voltò nella sua direzione. E sorrise. Franz abbassò la testa cercando riparo dietro i tristi alberelli del dehors. Chissà se lo aveva riconosciuto.


Intanto, il discorso del professor Todisco aveva raggiunto il punto di non ritorno, quello in cui la foga retorica trascina l’oratore.


− Per quanto riguarda la religione, Marx riprende l’analisi di Ludwig Feuerbach:


Non è stato Dio a creare l’uomo, ma l’uomo a creare Dio.


− Che sia così, lo si vede nelle religioni primitive. Il totem ne è un chiaro esempio: l’uomo prende un tronco, lo scolpisce, gli attribuisce dei poteri e infine si inginocchia ad adorarlo.


Più difficile da scoprire è invece quello che succede con le religioni evolute, il cristianesimo fra tutte: al posto di un tronco abbiamo infatti dei concetti. Ma il meccanismo è lo stesso: dopo avere inventato il concetto di Dio uno e trino, l’uomo si inginocchia ad adorarlo. Dispiace dirlo, ma la fede è il modo con cui il proletariato prova a lenire le sue sofferenze illudendosi che esista un’altra vita.


La religione è l’oppio dei popoli.


− La religione però non è solo fede, ma anche tradizione. E in quanto tradizione non scomparirà certo dalla mattina alla sera. In ogni modo, a smascherare questo inganno deve provvedere la filosofia, spiegando al proletariato come procede la storia.


− Tempo scaduto − intervenne Oberosler. − Per concludere, professor Todisco, non ha ancora risposto al nostro quesito: secondo lei, Marx è vivo?

− Certo, anche se vivo non vuol dire valido.

− E quale sarebbe la differenza?

− A mio modo di vedere non occorre essere d’accordo con Marx per sostenere che il suo pensiero sia stimolante. Marx descrive un mondo che non c’è più: quello delle disumane condizioni delle fabbriche inglesi dell’Ottocento. Studiarlo però ci aiuta a comprendere meglio il presente. Voglio dire che Marx è un grande classico, uno che puoi maltrattare quanto ti pare, ma avrà sempre qualcosa da dire.


Franz non poteva affermare la stessa cosa di Nadia. L’inerzia dei sentimenti li aveva fatti stare insieme più a lungo di quello che il buon senso avrebbe suggerito. In coppia non avevano suonato lo stesso spartito, non avevano vissuto la stessa storia.


− Grazie professor Todisco. Ora tocca a lei professor Varuno. A lei affido la pars destruens, la parte distruttiva, la critica insomma al pensiero di Marx. L’affiancherà Marco.


− Se vuoi capire una persona, indaga sulla sua vita parallela − esordì Varuno. − Tutti ne abbiamo una, anche Marx. Dietro la sua barba da filosofo, si nascondeva un uomo dall’intelligenza vivissima capace di affascinare con le parole, ma dal carattere tirannico. Visse tutta la vita nella miseria più nera (quattro dei suoi sette figli morirono di stenti), pronto però a sperperare i soldi che gli giungevano da qualche eredità.


In una lettera scrive: “L’unica buona notizia me l’ha data mia cognata: la notizia della malattia dell’inossidabile zio di mia moglie. Se quel cane muore adesso, sono fuori dai guai”.


Per dire che tipo era.


− E con la moglie andava d’accordo?

− Jenny, la moglie, di quattro anni più vecchia di lui, provvedeva a mandare avanti la casa e gli faceva un po’ da segretaria. Marx era terrorizzato dall’idea che potesse lasciarlo, il che non gli impedì di mettere incinta la governante.

− La governante?

− Certo, nonostante le condizioni miserevoli in cui visse, Marx non abbandonò mai le apparenze del buon borghese. In questa logica, oltre che per evitare le urla della moglie, Marx pregò Engels di assumersi la paternità del bambino. Solo poco prima di morire Engels dichiarò che in realtà il padre era Marx.


− E del filosofo Marx che ne pensa?

− Che non ne ha azzeccata una: il capitalismo non è crollato, nessuno ha visto l’alba di un mondo nuovo, e se l’ha vista era peggiore di quella del vecchio.

− E della teoria del valore-lavoro che cosa resta secondo lei?

− Nulla, è una teoria ottocentesca abbandonata da tutti gli economisti.

− Per quali ragioni?

− In primo luogo, Marx pensava che il valore del lavoro fosse costituito dal costo dei beni primari, quelli essenziali per vivere, come il cibo, il vestiario o la casa. Ma in una società avanzata come la nostra non è così, tant’è che oggi il proletario possiede beni come l’automobile, il computer o il cellulare che all’epoca di Marx non esistevano nemmeno.


Obiezione a cui si potrebbe replicare ricordando che con il tempo i beni primari sono aumentati di numero. Ma allora quanti sono questi beni primari e in base a quale criterio li definiamo tali? E poi, come calcolare il loro costo?


Per calcolarlo occorrerebbe prima conoscere il valore del lavoro, ma è proprio quello che stiamo cercando… In pratica, si entra in un circolo vizioso da cui è impossibile uscire.


− Andiamo al dunque, professor Varuno − lo interruppe Oberosler, senza accorgersi che Franz era finalmente arrivato. − Mi sembra chiaro che per lei Marx è morto, o sbaglio?

− Il Manifesto del Partito Comunista inizia con un celebre incipit:


Uno spettro si aggira per l’Europa, lo spettro del comunismo.


− Oggi quello stesso spettro si aggira per il web, nel senso che Marx è un fantasma del passato. Il comunismo è il miglior sistema sociale del mondo sulla carta: peccato però che non funzioni nella realtà. L’uomo non è infatti mosso solo da interessi economici, è una realtà ben più complessa. Non aver capito questo è il limite più grande di Marx.


L’affondo di Todisco accese la mente di Franz. La filosofia di Marx aveva un che di brutale: la storia era una scia di sangue, una fabbrica che sforna vincitori e vinti. Quando una verità impazzisce diventa violenta. La filosofia di Marx ne era l’esempio.


E l’amore? Una sovrastruttura, un’espressione sociale: c’è l’amore degli antichi e quello dei moderni; della borghesia e del proletariato. Insomma, non c’è l’amore, ma tanti amori quante sono le circostanze storiche e le classi sociali. Con una finalità: la riproduzione, il ripetersi cioè dello schema sfruttati-sfruttatori.


No, l’amore, quello romantico dei due abbracciati in un tramonto rosa era diverso. Marx non ne parlava. Evidentemente non l’aveva mai sperimentato. Era l’unica spiegazione.


− Personalmente invece io ritengo − sbottò Oberosler visibilmente irritato − che Marx oggi sia più vivo che mai, a patto che si consideri Il Capitale un’opera filosofica.


Intendiamoci, non voglio dire che Marx fosse un economista poco rigoroso, tutt’altro: ha raccolto statistiche e studiato i movimenti dei capitali con attenzione scientifica. Voglio dire che nei suoi scritti il filosofo prevale sull’economista. E nessuna opera filosofica può essere invalidata per motivi pratici. Chi ha mai visto le idee prima di nascere? Eppure la filosofia di Platone non ha perso il suo fascino. La Terra gira attorno al Sole, e non viceversa come credeva Aristotele, eppure le sue opere non sono state mandate al macero. E potremmo continuare.


Che poi Marx non ne abbia azzeccata una, come sostiene il professor Varuno, è tutto da dimostrare. Alcune delle sue previsioni si sono avverate: parlo per esempio della concentrazione dei capitali, delle conseguenze della globalizzazione e soprattutto della descrizione del capitalismo come un sistema contraddittorio perennemente in crisi.


“Non si vede il bosco per colpa degli alberi”, recita un proverbio tedesco. Ed è quello che capita con Marx. Le sue celebri parole d’ordine − la proprietà è un furto, la religione è l’oppio dei popoli, proletari di tutto il mondo unitevi − sono gli alberi che ci impediscono di vedere la foresta: ciò che voleva dire Marx.


A Marx non interessava la politica: basti pensare che scrisse tantissimo di economia, assai poco sui sistemi di governo e praticamente nulla sul comunismo. A lui interessava comprendere le dinamiche della storia, e l’economia era lo strumento di cui si serviva.


Prima c’era stato lo schiavismo, poi il feudalesimo, infine il capitalismo. E dopo, che cosa ci sarebbe stato? Secondo Marx si sarebbe affermato un sistema un po’ più giusto, fondato cioè su una più equa distribuzione della ricchezza, dunque comunista. Questa la sua scommessa. Di più non dice.


E non vi sembra di buon senso immaginare che prima o poi, magari fra mille o diecimila anni, si possa affermare qualcosa del genere? O c’è qualcuno tra voi che davvero crede che la storia economica dell’umanità finisca con il capitalismo, insomma che il capitalismo sia immortale? Un filosofo della storia, questo era Marx: un hegeliano con i piedi per terra e dall’animo rivoluzionario, ma sempre un filosofo, non un politico. Dunque non possiamo imputare a Marx gli errori e tantomeno le atrocità compiute da coloro che hanno travisato il suo pensiero, trasformandolo in un programma politico. Anche perché il primo a individuare i limiti di qualsiasi azione ispirata al suo pensiero è stato proprio lui:


“Io non sono marxista”, soleva dire con fare ammiccante.


− Oggi sappiamo che non era una battuta.


Nel fragore dell’applauso che seguì, Oberosler osservò Franz con sfrontata intensità. Certi gesti valgono più di mille parole. Più di una filosofia intera. E in quella sfrontatezza c’era tutto il suo spirito, tutto quello che aveva trasfuso nel suo ragionamento su Alice. E lui aveva risposto arrivando in ritardo.


La vita non ha sempre la trama che si vorrebbe; a volte non ha neanche una trama.


Testa randagia, quella di Franz.

Il rasoio di Ockham
Il rasoio di Ockham
LA STORIA DELLA FILOSOFIA IN UN ROMANZO