capitolo 38

L'amore

Se cerchi la bellezza, troverai la gioia di vivere.

Un conto è pensare che al mondo esistano per ognuno di noi almeno diecimila potenziali spasimanti, pronti a implorare in ginocchio il nostro amore; un altro è essere interessati a conoscerli. Eleni apparteneva alla seconda categoria.


Da quando Franz si era eclissato, i giorni si accavallavano pigri, senza consistenza; un po’ come quando ti trovi in vacanza nel posto sbagliato.


Inizialmente, Eleni si era data da fare nella speranza che una nuova nave da crociera si profilasse all’orizzonte, ma ben presto aveva ritirato il periscopio. Nessun ragazzo suscitava in lei più passione di un’onda che s’infrange sulla scogliera. Solo con Franz sentiva quel brivido alla testa che trasforma i pensieri in avventure.


Dalla sua vita era sparito il presente, viveva nel ricordo di quando frequentava Franz o in attesa di frequentarlo di nuovo. Respirare le risultava più facile quando pensava a lui; pronunciare il suo nome le metteva allegria. E questo si chiama amore, quel tipo d’amore che non puoi nascondere a lungo. Il tempo non sa mantenere i segreti.


Così era venuto alla luce in maniera prepotente quello che Eleni sapeva da sempre, ma che le seccava un mondo ammettere: amava uno che amava un’altra.


Esiste una tragedia più grande di questa?


Non dare mai il tuo cuore a nessuno, neanche la musica riuscirà a medicare il dolore che proverai.


Così cantava Eleni nel jingle più ubriaco di tristezza del suo repertorio. Ma come si fa a riprendere indietro il proprio cuore? L’amore è una calamita naturale, una forza violenta che non si smagnetizza a piacere.


Ripensando al passato, ogni tanto affiorava un dubbio: e se avesse cercato di sbloccare la situazione con il sesso? Ma no, dai: non è possibile sentirsi dire “ti amo” solo in quel momento. Il “ti amo” implica il “per sempre”, altrimenti è una presa in giro. Dichiararsi in amore apre le porte dell’infinito, non scherziamo.


Si può fare sesso per gioco: che dire, buon divertimento. Ma se uno dei partner ripone la propria felicità nella felicità dell’altro e non è corrisposto, allora fare sesso è una delle pratiche più tristi che l’umanità conosca. Provare per credere.


L’amore non è obbligato ad avere un senso, siamo d’accordo. Ma non può neanche essere qualcosa da ricovero in una clinica psichiatrica. Questi erano grosso modo i pensieri di Eleni, quando nella sua vita fece irruzione Alice.


Quel giorno Franz non aveva risposto alla chiamata di Eleni perché aveva silenziato il telefono. Faceva sempre così quando indossava i panni del filosofo. In quel caso aveva fatto naufragio nel blog di un artista, altro non poteva essere, che con convinzione lirica sosteneva questa tesi:


La bellezza è uno stato d’animo.
Cercala e troverai il piacere di vivere.


Cresciuto alla scuola di Oberosler, e cioè a pane e Kant, Franz rimase interdetto. Allora è vero il detto comune che “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”?


Sì e no.


Secondo Kant, la bellezza è una forma di piacere soggettivo e nel contempo universale. Spieghiamoci meglio: la frase “l’orchidea è bella” altro non è che una sentenza. Nell’emetterla, è come se mi ergessi a giudice supremo di un tribunale universale, anche se nessuno mi ha dato quell’autorità e non esiste una definizione di bellezza condivisa da tutti. Ma siamo fatti così: quando diciamo “l’orchidea è bella” pensiamo che sia bella per tutti. Non abbiamo dubbi.


E in base a quale criterio lo diciamo? La bellezza non esiste, è un rapporto di armonia che avvertiamo tra il nostro animo e quello che c’è al di fuori di noi. Per la natura un laghetto pieno di orchidee in fiore e una pietraia solcata da vipere sono la stessa cosa. Siamo noi che vediamo la differenza: la bellezza è un’invenzione umana. Come la follia, aggiungerebbe Foucault.


Ma se la bellezza scaturisce da una sensazione di armonia, allora nel momento in cui la incontriamo non ci manca più nulla. E non avvertiamo forse la stessa sensazione di armonia, e dunque di pienezza, anche quando siamo felici? Va da sé, dunque, che se cerchi la bellezza, troverai la gioia di vivere.


Da non trascurare in Kant è poi anche la distinzione tra il giudizio di bello e quello di sublime. La differenza è presto detta: mentre la bellezza è armonia, il sentimento di sublime scaturisce nel momento in cui entriamo in relazione con tutto ciò che ci stupisce per grandezza o per potenza.


Allora, di fronte alle grandi manifestazioni della natura, come il cielo stellato o un terremoto, avvertiamo un senso di umiliazione e di timore. L’uomo si riconosce cioè piccolo e debole, ma nel contempo sente di avere in sé qualcosa che lo riempie d’orgoglio: la ragione e la libertà morale. È il sentimento del sublime.


Due cose riempiono l’animo di ammirazione e reverenza sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me.


Ma esiste anche un’altra libertà, quella positiva, la libertà cioè intesa come dono. Una rara forma di bellezza che si chiama amore. Tortura pure le persone quanto ti pare, o lusingale con regali da favola: faranno qualsiasi cosa, dalle più turpi alle più nobili, ma non riuscirai mai a obbligarle ad amare.

Da quando Alice se n’era andata? Domanda senza senso; Franz non lo sapeva. Il tempo all’inferno non si conta in giorni. Il dolore non sopporta i numeri.


A volte dobbiamo seguire la corrente; a volte è tutto quello che possiamo fare. E poi ognuno riempie il vuoto a modo suo, e lui aveva riempito quello lasciato da Alice con spericolate speculazioni filosofiche.


L’amore non si cerca ma succede, aveva detto ad Alice atteggiandosi a vecchio saggio quando l’aveva ritrovata. Giusto dunque il consiglio di suo nonno: “Non fare nulla”. Ora ne capiva anche il senso. L’amore è un dono, e i doni non si sollecitano.


Intanto si era fatta sera. Franz guardò il cellulare e riattivò la suoneria. C’era una chiamata, quella di Eleni.


Eleni? Questa sì che è una novità, pensò Franz provando a richiamarla. Niente, il telefono suonava a vuoto.


Chissà che cosa voleva. Non l’aveva mai cercata in tanti mesi. Un incidente? Conveniva riprovarci. Niente, ora non suonava più, non c’era più campo. Una buona notizia: Eleni non era caduta nel cratere di un vulcano, ma stava spostandosi.


In attesa di riprovarci, prese un libro che da qualche tempo stazionava in soggiorno. Il titolo sapeva di enigma, il Settimo uomo, di Attila Jòzsef. L’incipit era una bomba poetica:


Se decidi di venire al mondo,
vedi di nascere sette volte.
Una volta in una casa in fiamme,
una volta in un fiume gelato,
una volta tra i matti del manicomio,
una volta in un campo di grano maturo,
una volta in un chiostro deserto,
e una volta tra i porci in un porcile.
Sei bambini che piangono mica bastano:
tu devi essere il settimo.


Un’esplosione avrebbe stordito meno Franz. Mentre cercava di raccapezzarsi, il telefono squillò.


− Eleni, che piacere sentirti, come va?

− Bene, e tu?

− Da qualche mese vivo in un incubo. Alice mi ha lasciato senza una spiegazione.

− Lo so.

− Cosa sai?

− Che non state più insieme.

− E chi te l’ha detto?

− Me l’ha detto lei.

− Non ci posso credere.

− Sì, è venuta a cercarmi in piazza Carignano.

− E cosa voleva?

− Conoscermi.

− Perché?


− Per dirmi che non state più insieme e che tu sei la persona giusta con cui fare un figlio.

− Cosa?

− Sì, io e te.

− Scherzi?

− Mai stata più seria.


− Strano, con me non amava parlare di figli, si innervosiva al primo accenno, e ne parla con te.

− Forse me lo ha detto per farti sapere che con te è davvero finita.

− Certo, più di così.

− Non sono più la tua ragazza di scorta.

− Cosa?

− Hai capito bene. Ora si gioca alla pari.


− Ascolta Eleni. Sei mai stata in Via San Domenico al ristorante Il Giglio?

− No, ne ho solo sentito parlare.

− Ci vediamo lì. Mi devi raccontare tutto nei dettagli. Non ci capisco più niente.

Silenzio.


− Eleni?

− Sì?

− Ci sei?

− Sì.

− E allora?

− Ti va di cenare a casa mia?

Silenzio.

− Franz, sei svenuto?

− No, sono solo stupito. Non so neanche dove abiti.

− In Borgo Vanchiglia. Ti mando l’indirizzo.

− Okay, a più tardi.


Tra le cose assurde che popolavano la mente di Franz, quella di avere un figlio con Eleni non aveva mai trovato spazio. Con Alice sì, tanto, ma non era tra le cose possibili. Per questo era un argomento tabù.


Eleni abitava in uno di quei palazzi di ringhiera, rifugio delle famiglie operaie dei primi decenni del Novecento, impregnati di zuppa di cipolle. Quando la vide, Franz sentì una scossa al cuore. Gli occhi di Eleni lo descrivevano migliore di quello che era. Non aveva scampo: doveva prendere una decisione, di quelle che avrebbero fatto discutere a lungo i suoi (immaginari) biografi. Aveva cioè come l’impressione di trovarsi sulla collina di Superga: in basso, una Torino illuminata a festa sembrava un tappeto di carboni ardenti.


Si racconta che camminare sulla brace sia una prova che tutti sono in grado di superare. Anche a una temperatura di ottocento gradi, il carbone ha una conducibilità molto bassa. Se dunque si cammina spediti, i piedi non si riscaldano abbastanza da ustionarsi.


Superare però la paura del fuoco, così come quella dell’amore, non è da tutti. Il segreto sta nel fare il primo passo.


Franz sentì il respiro incagliarsi in gola.


Dire “ti amo” è meraviglioso se nessuno te lo chiede. Ed Eleni non glielo chiedeva. L’amava però di quell’amore che fa esplodere i tappi di champagne.

Il rasoio di Ockham
Il rasoio di Ockham
LA STORIA DELLA FILOSOFIA IN UN ROMANZO