capitolo 45

Sartre

L’angoscia si scatena nel momento in cui rifiutiamo quei valori che sembrano dare un senso alla vita umana.

È brutto a dirsi, ma nella vita vige la legge del barbecue: quando sei cotto da una parte il destino ti gira dall’altra. Dal casuale incontro a casa di Franz, Giove ed Esther non si erano più lasciati. Insieme avevano vissuto l’ultima drammatica fase della vita di Alice con un’intesa da coppia abituata a tenersi per mano dalla scuola materna. Ma solo dopo il funerale, creata la dovuta atmosfera, Giove aveva trovato il coraggio di dirle “ti amo”. “Io di più”, aveva risposto Esther. Il che aveva avuto l’effetto di un colpo di gong suonato troppo vicino alle orecchie. La sua mente si era inceppata.


Che cosa si può infatti rispondere a una persona che ti dice “io di più”? Che non è possibile, perché tu già la ami così tanto che di più non si può? No, come risposta ci sarebbe voluta una bella metafora matematica, per esempio un algoritmo che rimandasse a infiniti altri algoritmi. Certo, ma non era nelle sue corde. Non tutti nascono poeti o con la fantasia matematica di un Einstein.


Così, per togliersi dall’imbarazzo, Giove l’aveva baciata. Nulla di originale. Tutte le storie d’amore iniziano con un bacio. Ci sono baci a lungo desiderati, come questo, o improvvisi, come quello tra Franz e Alice al loro primo incontro, ma il motivo del bacio è sempre lo stesso: non si sa più che cosa dire. In ogni caso, vita da single addio; al destino ora interessava cuocerli dal lato convivenza.


Nessuno può scegliere chi amare.
Ma come sì.


La vita di coppia è una pianta che ha bisogno di luce e acqua, amore e fedeltà. Condizioni che tuttavia potrebbero non bastare; occorre anche vedere il mondo colorato allo stesso modo. E così era per Giove ed Esther.


Fare i nonni di una bambina che ha perso la mamma è un mestiere impegnativo. Una cosa però aveva insegnato loro la vita: è sbagliato puntare solo sui figli o nipoti che siano. La coppia deve avere un suo spazio, il luogo del cuore.


Così si erano chiesti: che cosa possiamo fare oltre i nonni? Ballare, avevano risposto all’unisono. Che cosa? Il tango, ovviamente, il ballo di coppia più bello del mondo.


Occorreva dunque trovare dei bravi maestri. Alla fine la scelta cadde su Carlos e Pilar, due insegnanti dell’Aldobaraldo, storico cuore tanghèro di Torino, al cui ingresso campeggiava un aforisma rubato a Nietzsche:


Crederei solo a un dio che sapesse ballare.


Al lavoro Esther aveva sentito parlare bene di Carlos e Pilar. Si diceva che sapessero trasmettere lo spirito del tango, quello autentico, argentino, basato sull’improvvisazione, non quello internazionale o british, che sarà pure piacevole ma è tutta un’altra cosa.


Che Carlos e Pilar fossero dei maestri particolari lo si capiva fin dalla prima lezione. Lezione? In genere i corsi iniziano con gli otto passi della salida basica, l’abc del tango, e proseguono con le infinite figure che la coppia può produrre. Non loro. Loro iniziavano con un inno al tango argentino, perché questo ballo non è tecnica, ma poesia in due, verità intuita abbracciati.

Inno al tango argentino

L’universo produce musica, non è un posto silenzioso. Noi non le sentiamo, ma le stelle, i pianeti e tutti i corpi celesti emettono delle vibrazioni, una serie di suoni generati dal passaggio delle onde gravitazionali. Il ballo è il modo con cui l’umanità risponde a questa sinfonia cosmica. Un istinto che avvertiamo fin dalla notte dei tempi. Se si entra in relazione con le vibrazioni dell’universo ballando in coppia, abbracciati, con un abbraccio stretto, passionale, quello che di solito riserviamo alle persone che più amiamo, allora è tango, tango argentino. Un’emozione cosmica.


L’abbraccio è tante cose. Il primo abbraccio è quello di nostra madre, un abbraccio che ci avvolge totalmente, siamo dentro di lei. Così il primo rumore che sentiamo non è un suono piatto, prolungato, ma ritmico, simile a quello di un tamburo, il cuore di nostra madre: bum, bum, bum…


Poi nasciamo e conosciamo mille altri abbracci, da quello paterno a quello dei fratelli e delle sorelle, a quello degli amici fino a quello travolgente degli innamorati.


La nostra storia è fatta di abbracci. Noi siamo il nostro abbraccio. Ballare abbracciati è come sporgersi insieme da una scogliera a strapiombo sul mare; sotto si agitano gli inconsci dei ballerini, onde gigantesche di due oceani in burrasca che si scontrano. All’improvviso, gli oceani si mescolano. Anche i cuori ora battono all’unisono, seguendo il ritmo dell’orchestra. Infine la musica cessa, e i ballerini si lasciano con un “grazie”. La carrozza ritorna zucca. Fine dell’incanto, fine del tango.

− Ci sono decisioni che non prendi una volta sola, − continuò Carlos − ballare il tango è una di queste. Occorre molta perseveranza, determinazione. Nessuno impara una lingua in un anno frequentando un corso serale una volta la settimana. Il cervello non funziona così. Non lo puoi forzare. E poi per conoscere una lingua non basta sapere un po’ di parole, e neanche un po’ di frasi. Una lingua è solo la punta dell’iceberg di un modo d’essere. Tutto questo vale anche per il tango. Ci vuole tempo, e incontrare persone che abbiano pazienza con te quando alle prime armi ti avventuri in una milonga, il luogo dove si balla il tango. Non sempre i bravi ballerini si ricordano di essere stati principianti.


− Una domanda − tutti si voltarono verso Giove.

− Certo.

− Il valzer è armonia, il rock adrenalina, la salsa libidine. Che cos’è il tango?

− Malinconia, un cocktail di gioia e tristezza − rispose tutto d’un fiato Pilar.


Se la filosofia fosse un ballo, sarebbe il tango.


− Chi ha buoni denti filosofici vada a leggersi La fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty: uno che non ballava il tango, ma aveva capito tutto del tango.


Quello che voleva dire Pilar è che per Merleau-Ponty percepire è un atto creativo che compiamo con tutto il corpo, non solo con la mente. Nel tango la musica genera un’emozione estetica che rapisce la coppia per l’eternità (gioia) di un attimo (tristezza). Un piacere paradossale che Platone collocherebbe tra quelli impuri, quelli da cui stare alla larga perché hanno a che fare con il dolore. Ma non dategli retta. Assaporate questo cocktail di gioia e tristezza e passerete il resto dei vostri giorni a ricercarlo. Dalla tanghitudine non si guarisce.


− Ora però basta, − tagliò corto Carlos − abbiamo parlato troppo. Metto un tango, voi vi abbracciate e incominciate a muovervi al ritmo della musica.


Sulle note di Libertango di Astor Piazzolla tutti si abbracciarono; chi aveva un po’ di esperienza di ballo mescolò alla rinfusa gli stili che conosceva. Qualche cosa del genere dev’essere accaduta alle origini del tango.


− Bene, cambio coppie − disse improvvisamente Carlos.

Esther e Giove si guardarono stupiti, come infastiditi: loro erano venuti per ballare insieme, non con sconosciuti.


− Qualcuno ha detto che “l’inferno sono gli altri”, sarà, ma non sempre è così − aggiunse Pilar, proseguendo ad alta voce un ragionamento iniziato poco prima nella sua mente.


− Il tango è il ballo dell’epoca del web. Vedrete, avrà sempre più successo. L’essere connessi ci rende immateriali, senza corpo, il tango ce lo restituisce, nel senso che ci mette in relazione con degli sconosciuti, esattamente come fa il web, ma con quel calore che il web non conosce. Per dirla con la fisica, il web è una fusione nucleare fredda; il tango quella calda. E poi ricordatevi che il tango tocca corde profonde: siate quindi gentili con tutti perché non conoscete il dolore che portano dentro. La scommessa è fare vibrare queste corde abbracciando persone che mai avreste immaginato di abbracciare. Quando questo succede, gli altri sono il paradiso.


Quel qualcuno che aveva detto che “l’inferno sono gli altri” era Sartre, il filosofo esistenzialista per eccellenza. Per Sartre dare un senso alla vita significa ingannare sé e gli altri; una scelta che solo chi è in malafede può compiere. Neanche l’amore può riscattare l’uomo:


Che cos’è infatti l’amore se non il progetto di “togliere la libertà a qualcuno”?


A ben vedere, lo stesso obiettivo che ha l’odio. Il rapporto con gli altri porta dunque all’inevitabile scontro tra le diverse libertà. Per questo “l’inferno sono gli altri”.


Il capolavoro di Sartre − pubblicato nel 1943, L’essere e il nulla − già dal titolo ricorda Heidegger e il suo Essere e tempo. I due erano però molto diversi. Per Sartre Dio non esiste, perché se esistesse l’uomo non sarebbe libero. E invece lo è: lo dimostra il fatto che l’uomo attribuisce alla realtà i significati che meglio crede; per esempio, si è liberi di ritenere le cose utili o costose e le persone simpatiche o antipatiche.


Inoltre Dio è il simbolo di quanto sia assurda la vita umana. Chi è infatti l’uomo? Quell’essere che progetta di essere Dio, risponde Sartre. E poiché Dio è il nulla, il nulla è “nel cuore dell’uomo”. Heidegger invece anela a un dio che è in relazione con l’Essere.


Altra differenza. Heidegger era un personaggio schivo, introverso. La sua adesione al nazismo fu un fatto sostanzialmente interiore, filosofico, tanto che si è dovuta aspettare la pubblicazione del suo diario, i Quaderni neri, per averne la conferma.


Sartre invece ebbe un’intensa attività pubblica: prima aderì al Partito Comunista, poi se ne allontanò; prese posizione contro la guerra in Algeria e partecipò al Tribunale Russell sui crimini americani in Vietnam, fino ad appoggiare il movimento studentesco nel 1968.


Interessante è anche il confronto tra le loro storie d’amore. Mentre quella di Heidegger con Hannah Arendt rimase a lungo nascosta, la storia d’amore di Sartre con Simone de Beauvoir costituì addirittura un modello per le nuove generazioni. I due non solo non si sposarono, né andarono mai a convivere, ma condivisero il loro rapporto con una serie di amici, amanti, segretarie, fidanzate di cui si occuparono a lungo i giornali dell’epoca.


Giove conosceva Sartre solo di nome; Esther invece, come gran parte dei liceali francesi della sua epoca, aveva letto La nausea, il romanzo in cui Sartre descrive la sensazione di nausea che si prova nel comprendere l’assurdità delle cose, un po’ come quando siamo sazi e osserviamo con disgusto il cibo. L’angoscia, invece, secondo Sartre si scatena nel momento in cui rifiutiamo quei valori che sembrano dare un senso alla vita umana.


Nausea e angoscia: questo aveva provato Esther durante il funerale di Alice, mentre una frase di Sartre metteva a tacere tutti gli altri pensieri:


Ogni esistente nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per combinazione.


Solo l’abbraccio di tanta gente le era stato di conforto. Non c’è altro, aveva concluso Esther mentre tornava a casa dal funerale: consolarci di esistere è tutto quello che possiamo fare per lenire almeno un po’ il dramma della morte. Un abbraccio, un sollievo dolce e malinconico come quello che offre il tango.

Il rasoio di Ockham
Il rasoio di Ockham
LA STORIA DELLA FILOSOFIA IN UN ROMANZO