capitolo 4

L’angosciato stupore

La filosofia sorge dal meravigliarsi di esistere, perché si potrebbe anche non esistere.

Se prima di tirare in ballo le stelle nella sua arringa sul solipsismo, Franz si fosse informato, avrebbe potuto essere più preciso. Nella nostra galassia ci sono quattrocento miliardi di stelle, e nell’universo ci sono più di cento miliardi di galassie.


C’è solo un modo per raccapezzarsi: trovare il bandolo della matassa, il momento in cui l’universo, non più grande di una pallina di gelato, esplode nel big-bang. Di questo avrebbe parlato Marco nella lezione, del big-bang da cui ha avuto origine l’universo della filosofia con le sue stelle e galassie. La pallina di gelato era la Grecia.


− Nessuno può fare il ricercatore − esordì − senza sapere fin dove sono arrivati gli studi nella sua disciplina, senza conoscerne la storia. Sullo schermo dietro di me compariranno delle domande, delle osservazioni o delle citazioni: vedere aiuta la concentrazione, e la concentrazione è la madre di ogni ragionamento. Ecco la prima domanda:


Chi sono i filosofi?


− Secondo la tradizione, il termine filosofia venne usato per la prima volta da Pitagora nel VI secolo a.C. Per spiegare di che si tratta, Pitagora racconta questo episodio: alla gran festa di Apollo molti vanno per divertirsi; alcuni per fare affari, altri per incontrare gente; altri ancora per vedere, nel senso sovente usato dai Greci di “vedere” per “capire”. Questi ultimi sono i filosofi.


Filosofo è colui che vede con il pensiero, il suo sguardo va al di là di ciò che possiamo osservare con gli occhi. Platone ci ricorda poi che il termine filosofia significa “amore per la sapienza”: “amore” nel senso di appassionata “ricerca” e “sapienza” nel senso di “verità”.


La filosofia si presenta dunque come una disinteressata ricerca della verità che scaturisce da un atteggiamento di sincera umiltà. Questo perché l’uomo non solo nasce senza alcuna verità in testa, ma la verità gli si cela continuamente.

Che domande si pongono i filosofi?

Filosofare significa porsi degli interrogativi e cercarne la soluzione con la sola forza della ragione. Attenzione, però. E la scienza? La scienza non fa lo stesso? La scienza non è forse il regno della ragione? Vero, ma ci sono molti modi di pensare, e quindi di ragionare, ed è bene non confonderli. C’è il modo di pensare scientifico, quando affermo che “la Terra gira attorno al Sole”; c’è il modo di pensare artistico, quando descrivo l’emozione di vedere al mattino sorgere il Sole; c’è il modo di pensare religioso, quando dico che “Dio è come il Sole, senza il quale non ci sarebbe vita sulla Terra”. E poi c’è il modo di pensare filosofico che consiste nel porsi quelle domande che né la scienza, né l’arte, né la religione si pongono, a partire dalla domanda delle domande:


C’è un’unica verità o ve ne sono molte?


Silenzio.

− Okay − riprese Marco dopo un respiro profondo. − Abbiamo due anni per rispondere a questa domanda. Intanto, organizziamoci per la prossima lezione: chi ha voglia di spiegarci perché l’uomo prova l’irresistibile desiderio di filosofare, pur sapendo che la filosofia affronta questioni per loro natura irrisolvibili?


Tutti abbassarono lo sguardo.

− Coraggio.

Dal fondo si alzò una mano.

− Io − disse un signore cinquantenne con tanto di bastone.

− Come ti chiami?

− Alessandro.


− Bene Alessandro − proseguì Marco per nulla stupito della sua età. − La prima cosa che ci dovrai spiegare è il motivo per cui hai scelto questo argomento. E così faremo anche con i vari filosofi che incontreremo. Vita e pensiero sono intrecciati. Oggi siamo all’assurdo. Le librerie universitarie sono piene di testi di filosofia e poi negli scaffali a fianco trovi le biografie dei filosofi. Non sempre è facile, ma le cose vanno intrecciate se volete capirci qualcosa. Questa distinzione ha ucciso la filosofia. Quelli che saltano le biografie dei filosofi sono ridicoli. Ricordatevelo:


Non esistono filosofie, esistono filosofi.


− Oggi, nel mare sterminato del web, ciò che conta è il modo con cui colleghiamo le informazioni. E la vita intrecciata con il pensiero ci illumina sul percorso compiuto dai filosofi. Soprattutto quando pensiero e vita si contraddicono. Coerenza e incoerenza sono due facce della stessa medaglia.

Okay, per oggi è tutto. Alla prossima. Buona giornata.


Uscendo dalle Officine Grandi Riparazioni, Marco venne salutato da uno schizzo di pioggia che gocciolava da una grondaia. Torino quell’anno si sentiva inglese e non faceva nulla per nasconderlo. Poco male. Lo stage incominciava a lievitare, e questo era quello che contava.


Che tipo, Alessandro. Era la classica persona che voleva colmare i suoi buchi emotivi con la filosofia. Uno di quelli che nella vita si sentono vincenti e perdenti insieme. Aveva però l’età giusta per parlare con saggezza a una platea di giovani, molti dei quali ancora immersi nel corpo nervoso dell’adolescenza. Chissà come se la sarebbe cavata.


A lenire l’impazienza di Marco provvidero le circostanze. Quei quindici giorni finirono presto, e nuovamente l’aula si gremì di studenti. Aiutato solo dal bastone, Alessandro impiegò qualche minuto per raggiungere la cattedra. Marco gli porse la sedia, ma lui preferì rimanere in piedi. Si sistemò con calma; poi, brandendo il bastone con fare minaccioso, prese a urlare:


Chi mi ha giocato il tiro di gettarmi nel mondo?
Come vi sono entrato?
Io non sono stato consultato!


− Così imprecava Sören Kierkegaard.

Come una pallina da squash, le parole rimbalzarono nella mente dei presenti.

− Il termine religione – proseguì Alessandro − deriva dal latino religare, che vuol dire “legare”: chi aderisce a una religione si lega a una verità, nel senso che assomiglia a un viaggiatore diretto a una meta ben precisa. Il filosofo, invece, è colui che ricerca la verità con l’aiuto della sola ragione. Niente bussola. Assomiglia a un viandante che non conosce la meta del suo viaggio. È libero. Il prezzo però di questa libertà è molto alto: il filosofo non conoscerà mai le risposte alle domande che pone. E allora, qualcuno si chiederà, perché il filosofo che è in noi continua a farle?


Nessuno fiatò: l’interrogativo era retorico.


− Perché non possiamo farne a meno, siamo fatti così. Non c’è altra risposta. Anzi, potremmo dire che si tratta di un atteggiamento che ci definisce. L’uomo è quell’animale che non può fare a meno di porsi domande di senso: che senso ha la vita? che senso ha la morte? che senso ha il mondo? Siamo fatti così. Purtroppo o per fortuna, fate voi.


Applausi.


− Ah, dimenticavo − riprese Alessandro − il motivo per cui ho scelto questo argomento è che nella mia vita c’è un prima e un dopo. Prima di spaccarmi la schiena mentre con la mia mountain bike scendevo come un pazzo dal colle del Cotolivier, in val di Susa, non mi interessavo di filosofia. Poi, nei lunghi mesi di degenza, mi è capitato tra le mani il Diario di un seduttore di Kierkegaard. Leggendolo ho avvertito una sintonia profonda con quello sfortunato danese morto a 43 anni, proprio l’età che avevo io all’epoca. Da allora ho letto una valanga di saggi di filosofia. Talvolta capendoci qualcosa, o così almeno mi è sembrato, talvolta perdendomi in un labirinto di concetti. Da qui la decisione di partecipare a questo stage. La bussola, sono alla ricerca di una bussola che mi permetta di orientarmi nella storia della filosofia.


Alice era perplessa: quel tizio parlava da professore. Ma come poteva essere Oberosler con una storia del genere? A meno che quella storia non fosse un’invenzione, la maschera indossata da Oberosler per far credere agli studenti di essere uno di loro.


− Vorrei aggiungere una cosa − intervenne Marco. − Secondo Aristotele gli uomini hanno cominciato a filosofare a causa della meraviglia, nel senso che la filosofia sorge nel momento in cui si comprende che si potrebbe anche non esistere. Se infatti la nostra esistenza fosse scontata, non ci sarebbe alcuna sorpresa. Lo stesso vale per il mondo che ci circonda: esiste, ma potrebbe anche non esistere. Tuttavia, per un problema di traduzione, molti confondono “meraviglia” con “meraviglioso”, dimenticando che il termine greco thauma, usato da Aristotele, significa “meraviglia” e “stupore”, ma anche “sbigottimento” e “paura”. Di conseguenza il termine “meraviglia” andrebbe sostituito con “angosciato stupore”. Il filosofo, dunque, è colui che con “angosciato stupore” si risveglia dal sonno dell’ignoranza e dalla propria inquietudine trae la spinta verso la conoscenza.


Così facendo, la filosofia tramuta l’angoscia che si prova di fronte all’ignoto in quella gioia squisitamente umana che si prova quando la ragione illumina la mente.


Marco prese fiato.


− So che cosa state pensando: ma se ogni uomo è filosofo per natura, a che cosa serve studiare la filosofia? Su questo argomento si potrebbero dire molte cose. Ma a me piace sintetizzarle in una frase: lo studio della filosofia ci insegna a non accontentarci mai di una risposta, a ricercare sempre un’altra verità. E poi ci toglie dall’illusione che siamo i primi a pensare quello che pensiamo. Il più delle volte le nostre idee sono le loro idee, quelle di filosofi vissuti magari molti secoli prima di noi. Solamente che non lo sappiamo. La filosofia mette in risalto le crepe, le contraddizioni della realtà. E noi siamo lì, in quelle crepe e contraddizioni. Proviamo a dirlo con piglio poetico:


La filosofia è un percorso circolare alla fine del quale ci imbattiamo in noi stessi.


− Certo si può vivere senza chiedersi che cosa siano il bene e il male; se Dio esista o meno; se ci sia una sola verità o tante e che cosa sia l’amore. Ma che vita è? Per questo ad Aristotele appare evidente che “tutte le altre scienze saranno anche più necessarie della filosofia, ma nessuna superiore”.


Alice stropicciò il viso. Non è facile stare a lungo concentrati.


− Anche oggi abbiamo finito, − riprese Marco − la prossima volta cercheremo di rispondere a queste due domande:


Perché la filosofia occidentale è nata in Grecia?
Esiste una filosofia orientale?


− Chi vuole affrontare questo argomento?

Brusio.

− Ci provo io − rispose la ragazza che sedeva vicino ad Alice.

− Come ti chiami?

− Veronica.

− Bene, cerca anche tu di legare le risposte alla tua vita. Grazie, alla prossima. Ah, dimenticavo, probabilmente il professor Oberosler sarà presente alla lezione.


Alice non poteva crederci. Ma allora chi era questo Alessandro che aveva parlato come se nelle sue vene scorresse il sangue della filosofia? Quel suo modo teatrale di fare le ricordava Walter, con cui la storia era davvero finita, checché ne pensasse sua madre.


Walter era uno che adorava se stesso. E poiché la felicità di coppia non ha più strade ma una sola, quella dell’armonia degli inconsci, il rapporto con Alice aveva seguito per un po’ l’andamento irritante delle fasi lunari per poi dare schermata nera.


Kierkegaard avrebbe spiegato che dalla poesia del primo periodo, quando le emozioni dominavano lo scorrere del tempo, erano passati alla prosa della vita, quando ogni giorno sembrava la fotocopia del precedente. Un piccolo alloggio in via Pietro Cossa aveva assistito impotente a questa evoluzione, fino a che si erano lasciati.


Una cosa però li teneva ancora uniti: la passione per il teatro. Galeotto era stato un corso di recitazione a cui avevano partecipato entrambi. Poi Walter aveva fondato una compagnia teatrale. Così una sera, pur essendosi già lasciati da qualche tempo, avevano partecipato a una conferenza, indignati dal titolo che alle loro orecchie suonava blasfemo:


Ha ancora senso oggi il teatro?


L’interrogativo era solo per gli stupidi. In realtà la tesi era che il teatro fosse morto, stramorto proprio come arte. Per carità, non c’era da scandalizzarsi: altre espressioni artistiche, come l’epica o l’opera lirica, da tempo non davano più segni di vita. Solo un pazzo, infatti, oggi scriverebbe un poema come l’Iliade o un’opera lirica come Le nozze di Figaro.


Il teatro era dunque stato ammazzato dal cinema, così come l’opera lirica era stata massacrata dalla musica del Novecento. In ogni caso, nessuno intendeva negare a chicchessia il piacere di leggere Omero o di andare ad assistere a un’opera di Mozart. Un piacere come un altro, ma che sapeva di passato.


Alice e Walter erano rimasti turbati da quella conferenza e ne avevano discusso a lungo, non senza scontrarsi vivacemente, visto il carattere di Walter. Poi però erano giunti a una conclusione comune: oggi il teatro non può più essere quello di un tempo, quello dell’Ottocento, per esempio, in cui si racconta una vicenda (lo fa meglio il cinema), ma quello della meditazione.


Mentre infatti il racconto cinematografico, grazie al montaggio, è simile a una corsa frenetica, il teatro è il luogo in cui scorre il tempo lento della passeggiata: lo spazio ideale in cui rifugiarsi e riflettere su un tema reso vivo dalla presenza in carne e ossa degli attori.


Cinema e teatro potevano dunque convivere, così come d’estate c’è chi preferisce una passeggiata in montagna a una nuotata in mare. La maggior parte della gente sceglie il mare, va bene, ma che vuol dire? Che le passeggiate in montagna non hanno più senso?


Forse perché maturata insieme, questa comune visione del teatro aveva blindato la loro amicizia. Così, nonostante l’avvicendarsi delle fidanzate che Walter regolarmente cambiava a ogni stagione teatrale, non si erano persi di vista.


Lo spettacolo che Walter intendeva mettere in scena quell’anno era ispirato a un celebre manuale per la caccia alle streghe, il Malleus maleficarum, il cui titolo tradotto suonava ancora più inquietante: Il martello delle streghe.


Si trattava di un dialogo tra un inquisitore e una strega che rispecchiava il teatro di meditazione che avevano in mente. Alice poi si sentiva nata per la parte della strega; il provino l’avrebbe confermato.


C’era però un piccolo problema: circa i sentimenti, Walter non era un conservatore; in lui prevaleva la pratica dell’“usa e getta”. E lei, ormai da tempo, era finita in qualche pattumiera esistenziale per ex fidanzate.


Ma anche se Walter fosse stato un tipo sentimentale, chi mai avrebbe scelto come protagonista una malata di cancro? Questo pensava Alice, mentre con passo veloce si dirigeva verso lo scantinato che Walter chiamava pomposamente “laboratorio teatrale”.


Preparare quello spettacolo non era facile: occorrevano energia e mesi che a lei mancavano. Che senso aveva dunque partecipare al provino? Nessuno: meglio rivolgere verso di sé il pungiglione avvelenato, come fa lo scorpione quando si trova in difficoltà.


“Ciao Walter, scusa ma non sto bene. Alla prossima”. Come messaggio poteva andare. Fine del provino.


Il dramma era che quando cercava di opporre alla logica dello scorpione quella della ragione, dopo un’estenuante lotta un concetto finiva per prevalere sugli altri e le annebbiava la mente:


La ragione non ha sempre ragione.


Era il soffio caldo della Tarasca. Allora, come una cieca che ha perso l’orientamento, non le rimaneva che seguire il consiglio di sua madre e fare come Santa Marta. Pregare.

Il rasoio di Ockham
Il rasoio di Ockham
LA STORIA DELLA FILOSOFIA IN UN ROMANZO