capitolo 6

Perché o come?

Nulla come la filosofia muta il design della mente.

Per uno sgarbo del calendario, l’ora della lezione arrivava sempre in un giorno in cui la chemioterapia faceva sentire i suoi effetti perversi, non solo sul fisico, ma anche sull’umore di Alice. Da qui la difficoltà ad arrivare puntuale. In ogni caso, neanche in cambio di un incontro ravvicinato con i riccioli di Marco si sarebbe persa l’intervento di Veronica, la ragazza che in aula sedeva accanto a lei e con cui amava scambiare qualche commento.


E così quella mattina Alice arrivò un quarto d’ora prima che iniziasse la lezione. Quattordici minuti dopo, tutta trafelata apparve Veronica, con grande sollievo di Marco. Ne beneficiò il giubbotto nero che riprese l’abituale forma elegante.


− Te la senti di iniziare subito?

− Certo − rispose Veronica respirando con il naso e la bocca per prendere più fiato.


− Bene, a te la parola.

− Ciao a tutti… ricordate? Il problema a cui devo dare una risposta si articola in due domande:


Perché la filosofia occidentale è nata in Grecia?
Esiste una filosofia orientale?


− A ben vedere, il primo quesito può trarre in inganno. La filosofia non è nata né in Grecia né in Oriente. La filosofia è nata con l’uomo. Fin da quando l’uomo è comparso sulla faccia della terra si è posto domande filosofiche; ma porsi domande filosofiche non significa dare risposte filosofiche, nel senso che per lungo tempo le risposte erano affidate a una cultura religiosa fatta di racconti mitologici e rituali magici.


La filosofia, invece, nacque nel momento in cui ebbe inizio la ricerca della verità con le sole forze della ragione. Per quanto riguarda il mondo occidentale, questo avvenne in Grecia attorno al VI secolo a.C.


Fu allora che si comprese che la filosofia costituiva una forma di sapere radicalmente diversa dalla religione: per la religione la verità è Dio, ed è lui che la rivela; per la filosofia la verità è invece la meta che l’uomo vuole raggiungere. E poiché la ragione è per sua natura limitata, l’uomo non riuscirà mai a scalare tutta la montagna che conduce alla verità.


Per questo nessuna teoria filosofica potrà mai essere considerata certa, al contrario di quanto afferma la religione, la cui verità proviene dalla Verità stessa: Dio.


Ma per quale ragione in Grecia la filosofia si distinse dalla religione, tanto da dar vita a due modi di rapportarsi con la verità? Per comprenderlo dobbiamo partire dalla sensibilità religiosa greca.


Nell’antica Grecia la religione era costituita da miti che narravano le origini dell’universo e le vicende delle stirpi divine, intrecciate talora alle azioni esemplari degli eroi o a quelle malvagie degli empi. Scomparsa la memoria di chi li aveva inventati, i miti vennero rielaborati, modificati e arricchiti da poeti nel corso di un lungo processo creativo collettivo.

Che cosa rappresentavano i miti per i Greci?

− I miti avevano lo stesso obiettivo della filosofia. La differenza è che la verità filosofica, poiché scaturisce da un ragionamento, può essere messa in discussione da un altro ragionamento, mentre la verità divina del mito va accettata così com’è.


In Oriente accadde qualcosa di analogo? Oltre che di filosofia occidentale, si può parlare anche di filosofia orientale?


Certo. Nei Veda, un’antichissima raccolta induista di testi sacri, ci si domanda: il mondo è nato come narrano i miti o dai quattro elementi (acqua, aria, terra e fuoco) che nutrono la realtà? Sotto l’apparenza delle cose si nasconde qualcosa di eterno? In che cosa consiste l’essenza dell’uomo?


Per rispondere a questi interrogativi, nei secoli successivi nacquero teorie chiamate dars´ana, termine sanscrito che significa “visione della verità attraverso argomentazioni razionali”. Questo orientamento confluì nella visione filosofica del confucianesimo, ma lo ritroviamo anche in religioni filosofiche, come il taoismo e il buddhismo, che dall’India si diffusero in Cina e poi in Giappone.


− Bene, − la interruppe Marco − hai fatto una dotta disquisizione, ma non ci hai ancora spiegato da che cosa nasca questo tuo interesse per l’origine della filosofia e la differenza tra Occidente e Oriente.


− Ho un ragazzo cinese − rispose Veronica tra il brusio generale. − Si chiama Chun e studia ingegneria al Politecnico di Torino. Andiamo d’accordo e parliamo molto. Lui non capisce bene tutto questo mio interesse per la filosofia, così come la intendiamo noi. Secondo Chun non ha senso chiedersi perché siamo nati o che cosa ci facciamo al mondo. Per lui la risposta è semplice: il senso della vita è la vita stessa. Ci vuole tanto a capirlo? Allora ho approfondito la questione e ho scoperto che in Occidente la filosofia ha come obiettivo il concetto, cioè il “sapere cosa”. Per esempio:

Che cosa sono il bene e il male?

− L’obiettivo della filosofia orientale, invece, è l’azione, il “sapere come”. Per esempio:


Come devo comportarmi per vivere bene?

− Ottima distinzione, Veronica, questo è un punto essenziale, − osservò Marco − ma per capire a fondo l’originalità della strada intrapresa dalla filosofia occidentale rispetto a quella orientale dobbiamo rispondere a un quesito fondamentale: che cos’è l’Essere? Chi è interessato ad affrontare questo argomento?


− Io − rispose una voce ruvida dal fondo.

Tutti si girarono.


− Professor Oberosler, non l’avevo vista.

− L’Essere è il cuore pulsante della filosofia occidentale − aggiunse Oberosler dirigendosi verso la cattedra. − Affronterò questo argomento nelle prossime lezioni. Intanto, complimenti. Vedo che ve la state cavando egregiamente.


− Allora alla prossima − concluse Marco.

Tutti si alzarono e chiacchierando uscirono dall’aula. Alice invece ne approfittò per raggiungere la cattedra.


− Posso parlarle professore?

− Mi dica.

− La cosa è un po’ imbarazzante… Mia madre è malata di cancro e...


− Mi dispiace − la interruppe Oberosler. − Che cosa posso fare?

− Oh, niente professore, mi piacerebbe regalarle un libro di filosofia, così, per distrarla un po’. Ha qualche titolo da consigliarmi? Qualcosa che mescoli filosofia e vita. Sa, non ha più tanto tempo.


Oberosler rimase per un attimo interdetto.

− Come ti chiami?

− Alice.

− Facciamo così Alice. Tu ami la filosofia, vero?

− Certo.

− Chi ama conosce, quindi anche tu un po’ te ne intendi. La prossima lezione me lo dirai tu quale libro regaleresti a tua madre, e io ti dirò se va bene o se invece dovrai cercare ancora.


Questa volta fu Alice a rimanere interdetta.

− D’accordo professore. Ma non mi dà neanche un indizio?

− Quello che ti posso suggerire è di non lasciarti ingannare dai titoli. Ci sono libri meravigliosi con titoli banali e viceversa.


− Okay, grazie.

− Salutami tua madre. Coraggio, oggi dal cancro si guarisce.

− Certo − annuì Alice sempre più rossa in viso.

Finalmente sola, Alice respirò a pieni polmoni. Era stata una stupida a fare quella richiesta a Oberosler. Con tutti i problemi che aveva, ora doveva pure cercare un libro di filosofia che fosse di conforto a una malata terminale di cancro, che poi era lei. Non ci poteva credere. Una stupida, nient’altro che una stupida, questo era, irrimediabilmente stupida.


Giunta a casa, la rabbia lasciò il posto a pensieri sempre più cupi. Per distrarsi prese il copione di Il martello delle streghe, si acciambellò sulla poltrona e ne aprì una pagina a caso.


STREGA – È tanto, padre, che non mi confesso. L’ultima volta avevo poco da dire. Non me la sentivo. Tutte le volte che mi veniva in mente di confessarmi, ero come presa dalla stanchezza. Come potevo dire con poche parole quello che vivevo? E io vivevo, vivevo tanto. Le parole, come possono raccontare la vita? In questo periodo sono capitate molte cose. Ho vissuto. E vivere è faticoso.
[Rivolta al pubblico] Chiudete gli occhi, e provate a pensare di essere una ragazza. Ancora un po’ di concentrazione. Sei una ragazza con quella luce negli occhi di chi sa di essere bella. Ora sei una farfalla che fa sfoggio dei suoi colori. La brutta non sceglie, si trascina nella vita, ma la bella no, vola. E mentre il sole della libertà illumina il tuo futuro, un brusio sale nel paese, sempre più, l’invidia diventa malignità, i giudizi più cattivi prendono corpo, vengono sussurrati, poi riportati, fanno il giro della piazza, si infilano su per le strade, giù per i vicoli, ed allora ti rendi conto di essere prigioniera di una rete da cui non puoi uscire. Il sole della libertà è soltanto nella tua mente. Un’allucinazione.
[Con voce roca] Se poi questo ti capita in un periodo come il nostro, non è difficile immaginare le conseguenze: la bellezza non è forse l’arma preferita del demonio per ingannare l’uomo? Il male non ha forse questo di caratteristico, che è piacevole? E peccare non è forse l’azione più semplice che un uomo possa fare? Non fu forse Eva a convincere Adamo a peccare, e non il contrario?

Padre, io sono una che ha molto sofferto perché troppo bella, e la bellezza, specie in questo secolo, non porta con sé la felicità, ma la disgrazia. Sono stata accusata di essere una strega per questo: davo fastidio, ecco tutto. Anche le mie amiche mi hanno accusato − soprattutto le mie amiche −, gelose di come mi guardavano i loro uomini. E che cosa dire delle altre donne, dei loro mariti? Alla fine avevo tutto il villaggio contro. Per questo sono fuggita, sono scappata via. Sto parlando troppo?
INQUISITORE – No, se ti serve per venire al dunque. La confessione non è un semplice elenco di peccati, ma un aprirsi totale dell’anima a Dio. Ciò non significa un invito alla divagazione.
STREGA – Il dunque è che sono fuggita dal mio villaggio. Sono andata lontano a lavorare da un conciapelli. Mi alzavo la mattina all’alba e andavo a dormire a notte inoltrata. Gli occhi mi facevano male, sempre: di giorno per il fumo delle tinture, la sera era ancora peggio, si aggiungeva il fumo delle candele che tenevo accese tutta la notte per paura del buio. Tossivo in continuazione, ma non erano colpi di tosse normale, era una tosse profonda. Quando poi mi sono caduti tutti i capelli e la pelle ha incominciato ad accartocciarsi, il padrone sembrava impazzito. I segni sul volto? Un chiaro indizio del maligno: la peste, certo, oppure no, in ogni caso una malattia grave, contagiosa, bisognava fare qualcosa…
[Sussurrando] Padre, io sono una che ha molto sofferto perché troppo brutta. Che cosa potevo fare a quel punto se non scappare ancora? Ma ovunque andassi la gente prendeva a mormorare. Una strega? Sì, era arrivata una strega. Bastava guardarla: senza capelli, quei segni sul volto, indizio di peste... Padre, io sono una che ha molto sofferto perché troppo brutta.


Alice rimase a lungo pensierosa. Troppo belle o troppo brutte, insomma gente che in qualche modo dava fastidio: queste erano le streghe. Una chiara dimostrazione che la pazzia non è solo un fenomeno individuale. Addirittura una società intera può impazzire, come accadde tra Quattrocento e Settecento con la caccia alle streghe. Assurdo. In quel periodo, a una come lei avrebbero dato fuoco. Troppo bella con quegli occhi che dal marrone sfumavano nel verde, e troppo brutta spelacchiata com’era. Tutto nello stesso tempo. Sì, sarebbe stata perfetta per la parte della strega. La chemioterapia l’aveva preparata a dovere. Pazienza, era andata così. Meglio abbandonare la realtà e rifugiarsi nell’immaginazione.


La scena era realistica. Nel sogno, Alice si stropicciava gli occhi. Erano le otto e trenta di un martedì. Bene. Aveva tutto il tempo che voleva per prendere un caffè con calma, sfogliare il giornale, rilassarsi. Infine scegliere un posto né troppo vicino né troppo lontano dalla cattedra.


Si era appena sistemata, quando sullo schermo comparve questo interrogativo:


Che cosa pensiamo quando pensiamo?


Ecco il punto: anche i pensieri possono impazzire come accadde con la caccia alle streghe. E allora come distinguere i pensieri pazzi da quelli sani?


Alice si guardò attorno. Oberosler chiacchierava con Marco. In ogni caso, per nulla al mondo si sarebbe rivolta a loro per una risposta. E poi qualche grumo di saggezza si era formato nella sua mente. Per la precisione, due.


Il primo: lascia fare al tempo, un inquisitore implacabile; solo pochi pensieri sopravvivono, la maggior parte finisce al rogo come le streghe.


Il secondo:

Non fidarti dei pensieri troppo belli o troppo brutti, mandano in confusione la mente.

Il rasoio di Ockham
Il rasoio di Ockham
LA STORIA DELLA FILOSOFIA IN UN ROMANZO