capitolo 9

Zenone

La rettitudine è lodata, tuttavia soffre il freddo.

Oberosler prese la parola in un’aula che assomigliava a un campeggio estivo. Molti vagavano alla ricerca di un posto, né troppo al sole né troppo all’ombra, ma erano le dieci.

− Nelle ultime due lezioni, ricordate, abbiamo parlato del divenire di Eraclito e dell’Essere di Parmenide. Immagino che qualcuno si sia chiesto…

Sulla porta comparve Alice con l’aria stordita di chi ha lasciato acceso il fuoco a casa.

− Si accomodi signorina, c’è una sedia libera proprio di fronte a me. Stavamo chiedendoci:


Tutto diviene o l’Essere è immobile?
Chi aveva ragione, Eraclito o Parmenide?


− Qualcuno ha una risposta? Non è un interrogativo retorico, il problema è serio.

− Immagino − disse qualcuno in terza fila − che non ci sia una risposta.


− Questo è vero fino a un certo punto, − lo corresse Oberosler. − Conoscete la storiella dei topini finiti per errore in un secchio di latte? Appena compresero in quale situazione si erano cacciati, alcuni topini dissero: “Non c’è niente da fare”, e annegarono; altri incominciarono a nuotare per cercare di uscire dal secchio, ma dopo un po’ smisero di nuotare e annegarono; solo un topino non si diede per vinto e continuò ad agitare freneticamente le zampette. I topini che fuori dal secchio osservavano la scena dicevano tra loro: “Questo è pazzo. A che cosa serve tutto questo agitarsi?”.


Successe però che poco per volta il latte si trasformò da liquido in panna e poi da panna in burro. E il topino poté finalmente uscire dal secchio. Così ragionano i filosofi, non si danno mai per vinti. Non conosceranno mai le risposte ai quesiti che si pongono: e allora?


Con Eraclito e Parmenide la filosofia greca aveva raggiunto risultati straordinari, benché i due sostenessero tesi opposte. Per conciliare le loro conclusioni, Empedocle e Anassagora proposero interessanti teorie.


Chi però individuò la soluzione più geniale fu Democrito. Secondo Democrito, esiste una materia originaria di cui è fatto l’universo, gli atomi, che sono eterni. Gli atomi poi, aggregandosi, determinano la nascita di tutte le cose e disaggregandosi la loro morte. L’Essere corrisponde dunque agli atomi e il non essere allo spazio vuoto.


In quanto aggregati di atomi tutti i corpi sono soggetti al divenire, cioè nascono e muoiono, proprio come sosteneva Eraclito, mentre gli atomi sono eterni, come aveva detto Parmenide dell’Essere. Infatti, sebbene gli atomi si aggreghino e si disgreghino continuamente, la quantità complessiva di materia presente nell’universo non aumenta né diminuisce. È così che la lezione di Eraclito e Parmenide è all’origine di una delle più grandi scoperte scientifiche di tutti i tempi: l’atomo.

Perché il piè veloce Achille non raggiungerà mai la lenta tartaruga?

− Un altro genio del periodo fu Zenone. La sua filosofia rappresenta una straordinaria difesa del pensiero di Parmenide dagli attacchi degli avversari. Non solo. Secondo Aristotele, Zenone è il fondatore della dialettica (intesa come “arte del dialogo”, la capacità cioè di prevalere nella discussione), in quanto utilizza contro i suoi avversari le loro stesse affermazioni, dando così luogo a dei paradossi irrisolvibili, in pratica delle tesi contrarie al buon senso.


Il più celebre paradosso di Zenone è quello di Achille e la tartaruga: se in una gara di corsa si sfidassero la lenta tartaruga e il piè veloce Achille, e la tartaruga partisse anche con un minimo vantaggio, Achille non potrebbe mai superarla. Perché per superarla dovrebbe raggiungerla, ma nel momento stesso in cui compisse questa operazione, la tartaruga si sposterebbe in avanti anche di poco, ed essendo lo spazio infinitamente divisibile Achille non potrebbe mai riuscirci.


La tradizione vuole che la prima confutazione di questo tipo di paradossi sia stata quella di Diogene di Sinope, che si sarebbe semplicemente alzato e messo a camminare. La risata che probabilmente seguì era però più frutto di ignoranza che di arguzia: il senso di questo tipo di paradossi non consiste infatti nel dimostrare vera una cosa evidentemente assurda, ma nel segnalare che quello che i sensi ci mostrano sul piano fisico non sempre coincide con quello che sul piano logico la ragione ci indica.


Ecco perché, pensò sorridendo Alice mentre usciva dall’aula, io e quel ragazzo non ci incontreremo mai. Resta solo da stabilire chi sia la tartaruga e chi il piè veloce Achille.


C’era insomma di che deprimersi, come depresso era Franz che quel giorno non era andato a lavorare. Doveva andare dal dentista, questo aveva detto al padrone del bar. E poi era rimasto a casa.


I giovani non sono tutti giovani. Così almeno si percepiva Franz: vecchio. E come un vecchio si affidava alla magia dei sogni per tornare giovane. Perché solo i sogni sapevano trasformare i suoi pensieri in tante nuvole rosa.


La mattina era passata tra una commissione e l’altra. Ora si trattava di far passare il pomeriggio. Con la pazienza di chi crede nei miracoli si distese sul letto. Altro che nuvole rosa: i pensieri avevano l’aspetto di macchie nere gravide di grandine.


Il tempo libero è una brutta bestia se scricchiolano le giunture dell’immaginario. Per liberarsi da quell’artrosi psicologica, Franz cercò di concentrarsi su tutto ciò che poteva esserci di bello nella vita, così almeno gli aveva insegnato suo nonno. Ma non c’era molto di che rallegrarsi. Il mondo gli appariva sfuocato, tanto da vicino quanto da lontano. Regalo degli occhi pigri dei vecchi. Già, suo nonno. Perché non andare a trovarlo?


Per un po’ si rigirò sotto le coperte alla ricerca di un riparo. Nella sua testa grandinava. Doveva reagire. Con una fatica degna di qualche grande impresa si trascinò in bagno e si mise le scarpe. Finalmente aveva qualcosa di nuovo a cui pensare. Non sempre guardare nello specchietto retrovisore aiuta a capire il presente.


Il nonno di Franz da tempo non poteva più stare da solo. Per questo aveva deciso di ritirarsi in una residenza per anziani, Villa Pinuccia, che si trovava nel bel mezzo del paese in cui era nato, Mongardino. Gli piaceva stare lì perché poteva uscire quando voleva e chiacchierare con i vecchi del paese.


Il figlio l’avrebbe ospitato volentieri, ormai era in pensione e aveva tutto il tempo per assisterlo. Ma il nonno era stato irremovibile: come un salmone voleva andare a morire là dove era nato. Fine della discussione.


Mongardino non è distante da Asti, e Asti non è distante da Torino. Pochi conoscono la bellezza contadina di Mongardino, un paese abitato da gente concreta. Lo capisci appena scorgi la splendida collina su cui sorge. E mentre il piacere della vista inonda la mente, a un tratto rimani interdetto. Nel punto più alto, noti con stupore che la settecentesca chiesa parrocchiale è come impallata, direbbero gli attori, da una riserva d’acqua, la torre dell’acquedotto. E così uno di quei paesaggi che ti fanno dire “Dio esiste” viene deturpato per motivi che avrebbero potuto essere risolti in altro modo.


Ma si può? Certo, ti direbbero i mongardinesi, lì andava costruita quella torre, e lì l’abbiamo costruita. E non c’è niente da aggiungere, anche perché se sotto il sole rosso d’autunno imbocchi la strada che trapassa i vigneti per giungere al paese, rimani come stregato dalla dolcezza luminosa dei colori della natura. E incominci anche tu a vedere il paesaggio come lo vedono i mongardinesi: senza la torre dell’acquedotto e ricco d’acqua.


Franz arrivò a Villa Pinuccia verso le diciotto e trenta. Il nonno lo accolse con un abbraccio commosso, di quelli che spogliano dalle fatiche.


− Che sorpresa!

− Avevo voglia di vederti.

− Qui tra poco si cena, ti fermi a mangiare con me vero?

− Certo, ho bisogno della tua saggezza.


− Ma dai, non sopravvalutare i vecchi. Con il passare degli anni la vita, da brava maestra, insegna molte cose. Bisogna però ricordarsele. A ogni modo, vedendoti mi hai fatto venire in mente i miei vent’anni e un verso di Giovenale:


La rettitudine è lodata, tuttavia soffre il freddo.


− Grazie a questa strampalata considerazione convinsi tua nonna, ragazza “virtuosa”, come si diceva un tempo, a uscire con me. Per farla breve, nacque un bel bambino, tuo padre; a quel punto non potevamo che chiamarlo Giovenale.


− Davvero?

− Certo, non lo sapevi?


− Sapevo che tu e la nonna avevate frequentato il liceo classico e studiato le satire di Giovenale, da qui il nome di mio padre, ma non conoscevo questo particolare.


− Vedi, siamo stati dei ragazzi incoscienti anche noi. Ora dimmi di te.

− Non so che cosa fare nella vita.

− E allora non fare niente, facile no?

− Papà non mi può mantenere tutta la vita.


− Allora lavora, qualsiasi lavoro, il primo che trovi. È facendo che si capisce che cosa fare.


− Già fatto, faccio il barista.

− Ottima scelta, nei bar passano tante persone. Parla con loro, e soprattutto ascolta, magari ti viene in mente qualcosa.


Franz annuì senza convinzione.


− Che ne dici: andiamo al ristorante?

− Ok, bell’idea.


Il nonno aveva quella che i piemontesi di una volta chiamavano la “malattia delle vetrine”, nel senso che si fermava in continuazione come se dovesse guardare delle vetrine. Non aveva tuttavia perso quell’aria vagamente intellettuale che il liceo classico gli aveva lasciato in eredità, sebbene avesse poi fatto l’ingegnere edile tutta la vita.


− Vedi, la vita è un viaggio, e come facevano i viandanti medievali occorre portare con sé pane e acqua. Il pane è un progetto da realizzare; l’acqua è qualcuno da amare. Si tratta di trovare un equilibrio tra queste due cose. Tienilo a mente, e vivrai felice, per quanto sia possibile in questa “valle di lacrime” − concluse ridendo.


Franz lo guardò con curiosità.

− Per tutta la vita?

− Per tutta la vita.

− Anche da vecchi?

− Certo, Cechov costruiva una nuova casa mentre stava morendo di tubercolosi.

− Dai, parlami del tuo progetto.


− Prima di morire voglio sistemare la casa che abbiamo qui a Mongardino. Da tempo ci lavoro, sai? Mi piace pensare che un giorno ci verrai tu con tua moglie e i tuoi figli, come facevi quando eri bambino. Penso ai miei pronipoti, mi piace immaginare il futuro. Quando entro in quella casa sento le loro grida di gioia, il rincorrersi, il giocare. Con questo non voglio condizionare né tuo padre né te. Magari venderete questa casa e tu non avrai mai dei figli. Fa lo stesso. Ma questo è il mio sogno.


− Davvero nonno?

− Certo, anche se non è tutto. Ho anche altre idee.

− Dimmi.


− No, i sogni si depotenziano se si raccontano. Parliamo invece di te. Andiamo con ordine. Mi hai detto che non hai un progetto, ma almeno una ragazza ce l’hai?


− Non so.

− Come non sai? C’è o non c’è?

− Ce ne sono due, ma di fatto nessuna.

− Che vuoi dire?

− Che ho incontrato una che mi piace ma non l’ho più rivista.

− E allora cercala!

− Non so dove cercarla.


− E l’altra?

− L’ho conosciuta da poco: mi piace, ma non vuole stare con me fino a che ho in mente l’altra.


− E ha ragione. Smettila di raccontarle che pensi a quell’altra. Io incomincerei a uscire con questa, e se spunta quell’altra… si vedrà. Cerca di essere pratico.


− Non è così facile e poi mi sento vecchio.

La risata fragorosa del nonno contagiò anche Franz. Entrarono nel ristorante e si sedettero. Dopo qualche minuto un cameriere si avvicinò. Franz ordinò una milanese con patate fritte; il nonno risotto ai funghi.


− Ma non ti rendi conto delle stupidaggini che dici? − sbottò il nonno con insolita durezza. − Ti senti vecchio? Non scherzare su queste cose. Rimango sempre stupito quando sento descrivere la vecchiaia, parlo di quella vera, dopo gli ottant’anni per intenderci, quella difficile da vivere, non quella dei sessantenni, giovani pensionati come tuo padre.


Tante parole per dire una cosa molto semplice: il vecchio è un bambino al quadrato, nel senso che ha gli stessi problemi di un bambino, ma non suscita quell’istinto di protezione che tutti avvertiamo nei confronti dei cuccioli. Anzi, dà fastidio come tutte le cose inutili di cui non vediamo l’ora di liberarci.


Il vecchio vede sempre meno, cammina con crescente fatica, a volte non ricorda quello che ha fatto cinque minuti prima, si sente solo, perso, preoccupato, disperato, braccato dalle malattie. Avrebbe bisogno di mamma e papà, ma mamma e papà non ci sono più. Questa è la tragedia dei vecchi.


− Ma nonno…

− Ascolta. C’è una scena che mi commuove tutte le volte che la vedo: a Villa Pinuccia c’è un vecchio, ormai messo fuori gioco dalla demenza senile, che sta sempre seduto a un tavolo con un libro aperto e lo sguardo in frantumi. Legge in continuazione la stessa pagina perché quando arriva al fondo non si ricorda più che cosa c’era scritto all’inizio. Ogni tanto osserva una foto che usa come segnalibro: quella di mamma e papà il giorno delle nozze. Non ricorda più di aver avuto una moglie e dei figli, nemmeno il loro nome, ricorda solo mamma e papà perché è di loro che sente disperatamente la mancanza.


Franz incurvò le spalle inghiottendo le lacrime; poi abbracciò il nonno con quella tenerezza che di solito si riserva ai bambini. Era tempo di tornare a casa.


Talora la verità assomiglia a una zanzara che ti punge di notte.
Davvero fastidiosa.
Se vuoi trovare un po’ di pace, la devi ammazzare.

Il rasoio di Ockham
Il rasoio di Ockham
LA STORIA DELLA FILOSOFIA IN UN ROMANZO