capitolo 19

La felicità

Come una rondine non fa primavera,
né la fa un solo giorno di sole,
così un solo giorno o un breve spazio di tempo
non fanno felice nessuno.
Tisana più rilassante della fisica di Aristotele non esiste. Non siamo su un frammento di roccia che vaga in un universo ostile di cui non sappiamo nulla. Al contrario, l’universo è un luogo piacevole con al centro la Terra, e al centro della Terra c’è l’umanità, e al centro dell’umanità ci sei tu che contempli l’universo. Lasciamoci catturare da questa emozione seguendo il ragionamento a spirale di Aristotele.

Com’è fatto l’universo?

− Aristotele immagina l’universo come una gigantesca cipolla perfettamente sferica, formata da vari strati chiamati cieli, il cui movimento è circolare. Al centro di questa gigantesca cipolla c’è la Terra. Mentre tutte le cose terrestri sono fatte di acqua, aria, terra e fuoco, i cieli sono costituiti da un quinto elemento: l’etere, una materia che Aristotele immagina perfetta e incorruttibile. Il movimento dei cieli allinea poi il ciclo della vita al susseguirsi delle stagioni.


− Mi scusi professore − nella prima lezione su Aristotele, Alice si era sentita tagliata fuori e voleva la rivincita.

− Dimmi.

− Perché i cieli si muovono?


− Perché ogni cielo possiede un’anima che per sua natura desidera il bene, cioè Dio. Attratti da Dio, i cieli si muovono in modo circolare e comunicano il movimento al mondo sensibile.


− Ma come fa Dio, che è una realtà immateriale, a muovere una realtà materiale come l’universo?


Oberosler guardò Alice con curiosità. Per qualche ragione a lui sconosciuta, Dio la mandava in fibrillazione.


− La soluzione di Aristotele, manco a dirlo, è geniale: Dio muove l’universo per causa finale, cioè senza muoversi, esattamente come l’amato muove l’amante. Quando siete innamorati, il desiderio di stare con la persona amata non vi spinge forse ad agire, a fare qualcosa, a muovervi? Ebbene, l’universo ama Dio, per questo si muove.


− Professore, qualcosa però non torna: ma se Dio non fa altro che muovere l’universo, chi lo ha creato?


− Il Dio di Aristotele non crea il mondo come quello della Bibbia. Assomiglia piuttosto al generale di un esercito, responsabile del suo ordine ma non della sua esistenza; o, se volete, a un intellettuale assorto nei suoi pensieri. Un Dio incapace di suscitare emozioni religiose: come si fa infatti a pregare un Dio così freddo e lontano? Un Dio però che ci fa capire il modo di pensare di Aristotele: per lui lo scopo della filosofia non è quello di cambiare il mondo o di governarlo, come pensava Platone, ma quello di comprenderlo e di spiegarlo.


− Non capisco, ma allora…

Perché l’universo esiste?

− È questo che volevi chiedermi?

− Sì.

− L’universo esiste perché è una macchina meravigliosa, risponde Aristotele. Come definire altrimenti una realtà mossa dal Bene e rivolta al Bene? Così lo scienziato Aristotele manifesta tutta la sua ammirazione per la natura. Ecco la conclusione a cui giunge Aristotele: nulla sarebbe se non ci fosse il Bene. Guarda caso, la stessa conclusione a cui erano giunti Socrate e Platone.


Non solo. Il “come in cielo così in terra” di Platone vale anche per Aristotele. Le azioni dell’uomo sono infatti sempre indirizzate al raggiungimento di qualcosa che ci appare desiderabile e conveniente, qualcosa cioè che riteniamo essere un bene. Anche se non tutto ciò che desideriamo vale allo stesso modo, nel senso che ci possono essere cose che consideriamo un bene in vista di un bene superiore.


− Per esempio?

− Per esempio desideriamo possedere un cavallo, non perché amiamo i cavalli, ma perché con il cavallo possiamo essere più veloci in battaglia e così sconfiggere i nemici. È la vittoria, insomma, ciò che ci interessa, non il cavallo. Qual è dunque il Bene supremo che desideriamo per se stesso e non in vista di un altro? La felicità, risponde Aristotele. Tutto quello che facciamo non ha altro scopo: desideriamo con tutte le nostre forze essere felici.


− Senza dubbio, − lo interruppe Alice − tutti vogliamo essere felici, ma non è facile, poche volte lo siamo.

− Il discorso qui si fa complesso, meglio seguire il sentiero tracciato da Aristotele.

Che cos’è la felicità?

− La felicità coincide con il piacere, sostengono i più; altri ritengono che consista in onori e ricchezze. Risposte sbagliate, osserva Aristotele, perché il piacere è per sua natura di breve durata; di conseguenza, fonte di dolore. Allo stesso modo gli onori non dipendono da noi, e quindi sono anch’essi fonte di dolore, mentre la ricchezza è un mezzo e non un fine. L’errore consiste nel fatto che queste risposte trascurano il soggetto della felicità, cioè l’uomo. Un errore grave, perché come un artista è felice quando riesce a esprimere tutta la sua arte in un dipinto o in una scultura, così l’uomo è felice solo quando si realizza.

Che cos’è l’uomo?

− L’uomo è un animale razionale, risponde Aristotele. Di conseguenza, per essere felice deve vivere secondo ragione. Sempre. Nel senso che il vivere secondo ragione deve diventare per lui un’abitudine, un “abito”, qualcosa che si indossa ogni giorno. Nell’Etica nicomachea scrive: “Come una rondine non fa primavera, né la fa un solo giorno di sole, così un solo giorno o un breve spazio di tempo non fanno felice nessuno”.


− Ci fa qualche esempio, professore?

− L’uomo che vive secondo ragione sa godere moderatamente dei piaceri che derivano dalla ricchezza, dall’appartenere a una buona famiglia e addirittura dalla bellezza fisica. Tutti aspetti che aiutano a essere felici. L’importante è che non vengano intesi come un fine.


− In questo consiste la saggezza?

− Certo, colui che vive secondo ragione è un uomo virtuoso, e la virtù consiste nella capacità di cogliere il “giusto mezzo”. Per esempio, nel momento del pericolo il saggio agirà con coraggio. E il coraggio è una via di mezzo tra due vizi: la vigliaccheria, che lo spinge a scappare di fronte al pericolo, e la temerarietà, che lo spinge a sottovalutarlo. Due scelte opposte, entrambe sbagliate in quanto irrazionali. Infine, nessuno vorrebbe vivere senza amici, “anche se avesse tutte le ricchezze del mondo”.


Alice accarezzò la mano di Franz, che rispose stringendosi a lei. Oberosler seguì la scena con simpatia.


− A voi interessa che parli dell’amore, vero?

− Certo, − rispose con convinzione Alice − anche perché l’amore è il massimo. L’amicizia sta un gradino sotto.

− Non per Aristotele. Ora vi spiego perché.


Il cellulare di Alice vibrò. Sua madre le ricordava di fare la spesa. Nel frattempo si era intrufolato anche un altro messaggio. Marco, chissà cosa voleva:


“Chiamami prima che inizi la lezione. Oggi non ci sarò. Ho bisogni di parlarti. URGENTEMENTE!”.


Alice rimase attonita. Quell’“urgentemente” urlato in maiuscolo la infastidì. Non poteva esserci nulla di urgente da condividere con Marco. Alzò lo sguardo dal cellulare, e riprese ad ascoltare la lezione.

Che cos’è l’amicizia?

− L’amicizia ingloba l’amore ma non è la stessa cosa. L’amore implica il coinvolgimento passionale e sessuale, cioè il libero sfogo di impulsi irrazionali, mentre l’amicizia non necessita di queste manifestazioni. Non dimentichiamo che la felicità consiste nel vivere secondo ragione. Per questo l’amicizia è più grande dell’amore.


− Impossibile, l’amore ci fa spiccare il volo verso il cielo!

− Alice, non ti facevo così platonica. In ogni caso, l’amore come “dolce follia divina” non è nelle corde di Aristotele: a lui interessa parlare dell’amore secondo ragione, non dell’amore che piace ai poeti. Andiamo avanti e poi torneremo su questo punto.


L’amicizia può essere fondata sul piacere, così come capita ai giovani. Intesa in questo modo, però, l’amicizia è destinata a durare poco a causa del carattere mutevole del piacere. Poi c’è l’amicizia fondata sull’utile, tipica dell’età adulta: anche questa amicizia è di breve durata, in quanto cessa con il venir meno dell’utilità. Vera amicizia è infine, e soltanto, quella del saggio, in quanto fondata sulla virtù, che per sua natura è stabile. Poiché dunque l’amicizia si fonda sul bene, il malvagio non ha amici.


− Ma non è di una noia mortale stare con chi la pensa come noi? Non è come guardarsi allo specchio?


− No, Alice, affatto. Anzi, per Aristotele l’amicizia può sbocciare solo tra uguali, intesi come persone dalle caratteristiche simili, per età, visione del mondo o possibilità economiche. “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei” è un detto aristotelico.


− E invece tra diseguali che succede?

− Tra diseguali (come un comandante e il suo sottoposto, o un ricco e un povero) facilmente può sorgere il sospetto che a fondamento del loro rapporto vi sia un interesse diverso dal bene.


− Il saggio ha dunque tanti amici, è così?

− Al contrario, pochi, in quanto l’amicizia va coltivata, il che è impossibile se si ha una relazione con un numero eccessivo di persone. E poi l’uomo virtuoso ama stare anche con se stesso, mentre il vizioso non trova in sé nulla di amabile.


In conclusione, per Aristotele non c’è nulla che renda più felici del condividere con gli amici ricerche e pensieri: proprio quello che aveva sperimentato da giovane nell’Accademia di Platone.


− Insomma, gli amori passano e le amicizie restano: questa la morale?

− Certo, Alice.

− Eppure la storia è piena di persone che si sono amate tutta la vita.

− Vero, ma ti sei mai chiesta perché?

− No.

− Perché tra loro non c’era solo amore.

− E che altro c’era?

− Amicizia. Gli amori durano nel tempo solo se sono anche delle amicizie.


Alice rimase interdetta.


− Non ci avevo mai pensato.

− Pensaci, e quando ti innamori di qualcuno chiediti: potrebbe essere una mia amica? Se la risposta è negativa, il vostro rapporto ha le ore contate.

− E se invece continuasse?

− Allora sarebbe fonte di infinite sofferenze. Essere amati non basta, occorre anche sentirsi amati. Tutto il resto è sadomasochismo.


Franz sorrise. Non si era mai immaginato nei panni di un’amica di Alice.

− Una curiosità…

− Aspetta Franz. Non ho ancora finito.

Che rapporto c’è tra individuo e politica?

− L’uomo non soltanto è un animale razionale ma è anche un animale politico, nel senso che istintivamente è portato a vivere con gli altri. L’individuo sta alla politica come la mano sta al corpo; e come la mano nulla può fare se è staccata dal corpo, così l’uomo non può essere se stesso senza la società.


− Tutte osservazioni condivisibili, non le sembra?

− Sì, però Aristotele ne trae delle conseguenze che urtano con la nostra sensibilità. Giustifica per esempio il razzismo etnico, ovvero la superiorità dei Greci su tutti gli altri popoli; il razzismo sociale, e quindi la schiavitù; la superiorità dell’uomo sulla donna, nel senso che ritiene la donna un terreno da fecondare.


Essendo quindi l’uomo la “forma” e la donna la “materia”, il figlio eredita soltanto dal padre le sue qualità. Vere e proprie stupidaggini che ci fanno comprendere quanto Aristotele fosse un uomo del suo tempo. Voltiamo dunque pagina.


Che cosa volevi chiedermi Franz?

− Avevo letto di questo giudizio di Aristotele sulle donne e volevo sapere come lo giustificava.

− Non si giustifica. Ricordatevelo: anche i geni dicono fesserie.

− Posso fare ancora una domanda?

− Certo, Alice.

− Aristotele condanna l’arte come Platone o fa un ragionamento diverso?

− Fa un ragionamento diverso.

Che cos’è l’arte?

− A differenza di Platone, che condanna l’arte in quanto imitazione della realtà, per Aristotele l’arte è un modo per conoscere se stessi. Uno specchio in cui vediamo riflesso quello che siamo.


Prendiamo la tragedia greca. Si tratta di un genere condannato da Platone perché scatenerebbe le più oscure forze irrazionali che albergano in noi. Al contrario, Aristotele pensa che assistere a una tragedia abbia un effetto catartico, di purificazione. Insomma, vedendo rappresentate le nostre pulsioni più profonde le razionalizziamo, e razionalizzandole le dominiamo meglio. Assistere a una tragedia farebbe cioè l’effetto di una seduta psicoanalitica, la cui utilità Freud non avrebbe potuto spiegare meglio.


Riflessioni ancora oggi di grande attualità. E così Aristotele, che non era un artista, comprende l’arte meglio dell’artista Platone. Stranezze della filosofia, stranezze della vita, si potrebbe aggiungere. Ma a me piace pensare che le due visioni dell’arte, così come quelle dell’amore, siano complementari: due facce della stessa medaglia. E più ancora mi piace immaginare che Socrate, Platone e Aristotele fossero in realtà la stessa persona, di cui per comodità siamo abituati ad articolare il percorso filosofico in tre grandi tappe, attribuendo a ognuna un nome diverso.

Il rasoio di Ockham
Il rasoio di Ockham
LA STORIA DELLA FILOSOFIA IN UN ROMANZO